Da qui... fin laggiù

 Chi l'ha detto che non mi senti,
 Chi l'ha detto che io non ti trovi
 Tutto è luce, suono ed oblio
 Mentre la voce è sempre e ovunque
 E il silenzio delle distanze è sotto le unghie

Bungaro, Guardastelle
 
Da qui, mi piace calcolare le distanze 
Da qui, proiettami nello spazio siderale 
Da qui, da qui, da milioni ad occhio e croce di persone 

Da qui, ho conosciuto la costellazione 
Da qui, senza mai guardare dentro un cannocchiale 
perché la mia vista vede, è una lente naturale 

E ho fantasia e posso anche volare 
La fantasia lo sai ti fa volare 
 
Guardastelle, guarda, 
in questo mare di stelle, 
mi perderò con te 

Guardastelle, guarda, 
è un cielo di fiammelle, 
il buio più non c'è

Da qui, mi stacco da terra ad immaginare 
Da qui, chissà, se c'è un mistero grande da scoprire 
Da qui, una libera preghiera per una pace da inventare 

E ho fantasia e posso anche volare 
La fantasia, lo sai ti fa volare 

Guardastelle, guarda, in questo mare di stelle,
 mi perderò con te 

Guardastelle, guarda, 
è un cielo di fiammelle, bruciano per te 

Sotto il cielo la terra, 
ogni uomo una stella 
Una speranza sospesa, 
tra la scienza e la guerra 
Una speranza sospesa, 
tra la scienza e la guerra 

Guardastelle, guarda, 
in questo mare di stelle, 
mi perderò con te 

Guardastelle, guarda, 
è un cielo di fiammelle, 
è un cielo di fiammelle...


Il ricordo di sempre

Sento il tintinnio dei cristalli non appena varco la soglia del salone vuoto, inondato di luce, che entra dalle enormi finestre e si riflette nei mille specchi che rivestono le pareti.
Sono sola, vestita di panni comuni, ma mentre avanzo esitante mi accorgo di avere un altro abito e un’andatura regale, solenne, ed è come se stessi procedendo tra due ali di folla attonita, silente.
Sono io, ma sono di più.
Mi accompagna il fruscio delle crinoline, il lieve rumore di tulle e di tessuto che sfiora il marmo freddissimo del pavimento.
Attraverso la sala, lentamente, nel silenzio totale che contrasta con la musica dell’orchestra che suona nella mia testa. Rimbalzo nel tempo e nello spazio, mi sento a mio agio e assaporo la traversata di una distanza che sembra non finire mai. E invece finisce.
Sono dall’altra parte del salone. Mi volto. Ora non sento più quella musica. Sento però, lontanissimo, il suono di un carillon, e mi accorgo del sangue che mi scorre nelle vene, mi sembra un liquido diverso, più fluido e più caldo.
La folla è svanita, così come il pesante abito di broccato che mi stringeva il busto e mi faceva procedere a stento.
Sono di nuovo nei miei panni banali, che ora appaiono stonati, e intristiscono ancor di più una fredda e plumbea mattina viennese. Che mi ha donato un attimo incantato, un ricordo magico.
Il ricordo di sempre.
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