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James Taylor "parzialmente scremato"

Roma, Auditorium della Conciliazione, 31 Marzo 2012 


Un concerto è un'emozione sempre diversa. Ma ce ne sono alcuni che, oltre ogni aspettativa, regalano qualcosa in più.

Non è la prima volta che assisto ad un concerto di James Taylor, la cui musica è stata, è e sarà sempre, parte integrante della colonna sonora della mia vita; per grandezza, sensibilità e peso specifico; per tutta la sua vita, musicale e non, complicatissima e non, intrisa in ogni brandello dei panni che si porta addosso e in ogni nota che esce dalle sue chitarre e dalla sua gola.

Ieri sera era lì, con indosso più o meno quello che si mette quando esce di casa ogni mattina, la scaletta scritta a mano con il gesso bianco su una lavagnetta nera. Scenografia praticamente assente. Ma tanto chi la guarda...

Gli occhi, le orecchie e il cuore sono per lui e per il suo suono acustico, in diretta. Per lui che è lì, semplicemente, nessun ear-monitor lo separa dagli umori della folla. E in punta di piedi si regala agli altri che lo ricambiano con gli applausi e con un silenzio fatto di rispetto e di un amore, tangibilmente reciproco, di un pubblico senza nazionalità, che lo tratta come l'amico della porta accanto. Cosciente, però, del fatto che lui non è semplicemente uno che fa musica, lui è musica.


La gente lo sa, e lo ama perché è così, per la sua forza ma soprattutto per non aver mai avuto vergogna delle sue umane debolezze. E gli crede sempre, pure quando dice che ama Roma e che qui si sente a casa, aggiungendo che "non è tanto per dire...". E a dimostrazione della confidenza che ha acquisito con la città eterna, pronuncia con orgoglio, scandendo bene ogni parola in italiano, "PARZIALMENTE SCREMATO". E' pur sempre un americano a Roma...
Tutti ridono. Il suo umorismo lo conosciamo bene. E chi lo conosce, immagina che il suo cappuccino preferito sia in linea col suo modo di prendere la vita nella maturità: gustandola tutta, prendendo il meglio e scansando, nei limiti del possibile, quello che può far male.

Dal buio, una voce sgraziata, con accento più che romanesco, gli strilla "Messssico!"... E lui solleva da terra la lavagnetta e conta quanti brani ci sono ancora prima di quello, pregandolo di pazientare. Continua ad eseguire diligentemente tutti i suoi pezzi poi, dopo una sola uscita dal palco (assieme alla moglie-corista che sembra intimidita, sia di cantare ad un passo da Piazza San Pietro sia, e ancor di più, di cantare su quelle tavole insieme a lui), ringrazia, si inchina, saluta con la mano.
I musicisti (Jeff Babko, piano; Jimmy Johnson, bass; Steve Gadd, drums - non si può non nominarli) escono, si spengono le luci, e mentre i tecnici cominciano a smontare gli strumenti Taylor, da antidivo, si avvicina al suo pubblico, ginocchia piegate sul bordo del palco, per firmare per più di mezz'ora centinaia di autografi, sorridere, farsi fotografare. Da romani e non, che si avvicinano e gli dicono semplicemente "Ciao".

Tra penne e foglietti d'autografi, ho allungato la mano per stringere la sua, e l'ho semplicemente ringraziato, dal più profondo del cuore. Non avevo null'altro da dire. E lui, cercando e poi ricambiando il mio sguardo per dare un volto ad una voce, mi ha risposto: "... sono io che dovrò sempre dire grazie a voi".

Se c'è qualcuno che non ha capito perché io ero lì, e perché lui è ancora qui, attraverso mezzo secolo di storia e di carriera, alzi la mano.
© Caterina Somma - Tutti i Diritti Riservati 

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