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E Buon Natale

A chi devo fare gli auguri di Natale?
È una domanda che continuo a farmi, nonostante sia sempre più difficile darmi una risposta. Non riesco più tanto a tener conto della situazione fra parenti e amici cattolici, atei, razionalisti, buddisti, musulmani, ebrei, anticlericali... e mica devo continuare, avete capito.
Col passare degli anni la gente diventa sempre più ex di qualcosa e di qualcuno, e non so se questo accade perché ci sia più conoscenza e libertà, o perché si è alla continua ricerca di ciò che in realtà non si potrà mai trovare cercando nel posto sbagliato, fuori da se stessi. Al di là di questo, non è che io abbia l'interesse né l'esigenza di tener conto dei cambiamenti altrui, il mio affetto resta immutato. Io a Natale gli auguri li faccio a tutti, amici e nemici, e pure a quelli che non conosco affatto. Perché per me il Natale è un'occasione. Che in quanto tale non andrebbe mai sprecata.
Allora mi disconnetto dall'amore e dall'odio e volo medio, tra i sensi della gente e i diritti di ogni creatura vivente, e prego che nessun essere umano dimentichi i doveri che la vita stessa impone, con maggior forza ai pensanti.
Quindi, sia che stiate per trascorrere il Natale in compagnia tra luminarie scintillanti oppure in famiglia con i bambini che sono la luce del mondo, che siate da soli in un letto d'ospedale al buio già dalle otto di sera o in penombra nella stanza dei bottoni indecisi su quale pigiare, o che stiate imbracciando un fucile nella notte più nera che c'è, vi prego: pensate che il Natale è un biglietto vincente della Lotteria già in vostro possesso, prezioso e unico.
Non lo sprecate. Cambia la vita. 

Caterina Somma



Sorrisi impress ionanti

Dopo essere stata tempestata di telefonate e messaggi per ricordarmi l'appuntamento, precisare l'indirizzo, preoccuparsi della mia puntualità e del fatto che avessi o meno trovato facilmente parcheggio, eccetera eccetera, arrivo alla visita. Puntuale.
Ho preso appuntamento presso uno studio dentistico, che in realtà di medico ha molto poco. In un turbinio di luci, colori e paillettes, mi sembra di essere entrata in una casa di tolleranza. Segretaria pin-up con trucco da show girl, sandali gioiello tacco 12 (è dicembre), merce abbondante (gradevole per carità) in bella mostra, che mi accoglie senza sorriso. Forse il trattamento che mi riserva è dovuto al fatto che sono vestita a caso, diciamo casual va', e strido con la fauna lì presente, tirata a lucido. Mi fa accomodare in un ingresso-sala d'attesa piena di Babbi Natale appesi ovunque, tra diffusori di essenze che emanano nuvole di vapore e musica natalizia diffusa mono che si ripete in continuazione.
"Accomodare" si fa per dire, perché il divano è occupato da tre/quattro fanciulle fatte più o meno con lo stesso stampino della segretaria che masticano rumorosamente gomma americana mentre sguardo fisso ai cellulari ignorano il fatto che stanno occupando tutte le sedute disponibili con cappotti, borse, shopper e oggetti vari, come se il divano fosse solo loro.
Nel corridoio che ho davanti c'è un bel via vai tra porte che si aprono e si chiudono, gente che ride in maniera vistosa e pazienti che escono dalle porte chiuse con buste di ghiaccio sintetico sulle guance e uno via l'altro si infilano nel bagno alla mia destra. Suppongo per smadonnare senza essere visti.
Dopo 20 minuti di attesa in piedi, mentre la pin-up va su e giù per le stanze sculettando a profusione, da una porta esce una dottoressa che chiama il mio nome. Occhio, il nome ho detto, non il cognome. Ma chi ti conosce. La dottoressa, presumo, scusandosi dell'attesa mi dice che porta un po' di ritardo. Le chiedo "Scusi, quanto?", mi risponde "C'è da aspettare almeno un'oretta, mi spiace... non prendo io gli appuntamenti". Penso che magari lesinando chiacchierate e risatine avrebbe potuto dispiacersi meno ed essere più puntuale. Ma a quel punto, sollevata per avere un valido motivo per darmela a gambe, ringrazio, saluto e finalmente imbocco la porta d'ingresso e scappo via, felice di essere finalmente uscita da quella suburra da incubo. Per mezz'ora ho creduto di essere in un film su una realtà distopica, anzi no, sembra Pleasantville. Confesso di essermi perfino guardata in giro per capire se ci fossero videocamere per girare una candid.
Ma quando penso di essere finalmente salva squilla il cellulare: un incaricato del Centro vuole sapere se ho trovato lo studio. Mi assale il dubbio, anzi la quasi certezza, che detta organizzazione abbia a che fare solo con persone deficienti, e se così non fosse non capisco perché trattino i clienti come tali.
Rispondo: "Sì l'ho trovato, grazie, ma la dottoressa portava un'ora di ritardo e sono dovuta andare via". E ometto il fatto di essermi pure traversata tutta Roma per un preventivo mai fatto.
Pessima mossa gente. Pessima pubblicità, quella che volentieri farò.
Tanto gli dovevo. E Buon Natale.




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