Visualizzazione post con etichetta diario. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta diario. Mostra tutti i post

Sanremo2016, quello che non ho detto su Twitter


Mi annoio ma non posso non vederlo. Per un po' commento e scherzo con chi mi sta accanto, ma ci stanchiamo presto. Allora mi rivolgo a Twitter che mi fa ridere e condividere odio e amore per quanto sento e vedo. Ma i 140 caratteri non mi bastano, allora eccomi qui a raccontare il mio Sanremo. Quest'anno però non sarò diplomatica, non ho voglia di star lì a giustificare le mie parole.

Carlo Conti conduce con maestria e disinvoltura, una scioltezza, forse troppa, che azzera la possilità di cogliere in fallo il conduttore, da sempre tra i principali divertimenti di queste lunghe serate. Virgina Raffaele è bravissima, la modella l'ho già dimenticata, Garko è il manichino dal sorriso smagliante di questa 66esima edizione. Sarà rimodellato e impedito ma meno male che c'è, altrimenti non avremmo avuto modo di (s)parlare così tanto.

In questa sede chiarisco un concetto una volta per tutte. Una cosa è quello che mi piace, altro è ciò che penso che sia funzionale al Festival. Le due cose possono corrispondere oppure no. Di certo quando la notte mi metto in cuffia non ascolto le canzoni di Sanremo. Capita raramente almeno. Detto ciò vado avanti.

E comincio col dire che la cosa più bella che ho visto finora è stata la performance di Ezio Bosso. Come già twittato, le sue mani ferme sul piano, a dispetto di quella bestia di malattia che si sta impossessando della sua vita, sono un miracolo, quel miracolo che la musica è capace di fare come poche altre cose al mondo. Mi emoziona, mi fa stare bene, mi fa dimenticare tutta la banalità e l'inutilità che ho sentito in queste due serate e che sento spesso in televisione. Mi sono emozionata anche vedendo Elton John e ho sorriso vedendo i suoi polsini con tanto di corona dorata. Ma non ho potuto fare a meno di sentire un vibrato che lui non ha mai avuto e che non mi piace, ma lo amo lo stesso. Ascolto la Pausini che però non mi suscita mai niente. A Ramazzotti che gli vuoi dire? S'è pure dimagrito. Però cantare "Più bella cosa non c'è" rivolto alla sua attuale moglie in platea non si fa. Ha fatto infuriare tutti, se non altro perché ci ha massacrato per anni nel dirci che l'aveva partorita per Michelle. Bah. Gliela passo perché so che l'eleganza non è il suo forte. E perché pure lui è cresciutello e la maturità tutto sommato gli dona. E gli passo pure i ridondanti arrangiamenti di stasera, soprattutto perché mi rendo conto che Eros fa Festival di Sanremo, quella cosa che adesso sembra non esserci più e che rimpiango.
Il dopofestival è piacevole, nonostante l'ora, perché la Gialappa's non si risparmia e fa da contraltare ai troppi esimi colleghi che il Festival l'hanno sempre preso troppo sul serio.

Andiamo al sodo. So che c'è chi aspetta i miei tweet per scommetere denaro sul pronostico. Vi deluderò, al momento non so cosa pensare, tranne il fatto di essere sempre più convinta del fatto che in Italia, oggi, mancano proprio gli artisti. Ma che ci vuoi fare. Sanremo s'adda fa comunque per Mamma Rai.
La prima serata, nonostante avessi letto i testi in anticipo, non sono riuscita a capire quasi niente di quanto promunciato per le prime ore (quando la musica non c'è mi concentro sul testo, sperando di trovare qualcosa per cui valga la pena ascoltare), tant'è che quando ha aperto bocca Arisa m'è sembrato un miracolo. Il testo sarà bislacco e la musica non ha niente di originale, ma lei è brava (pure a scegliere gli orridi vestiti che faranno comunque parlare di lei) e il pezzo si canta. Così come si canta Neffa. E poi mi è piaciuto il pezzo di Rocco Hunt, ma non so quanto conta il fatto che le palpebre stavano calando e la sua canzone è stata la prima, dopo ore, sopra i cento di metronomo. Però credo che funzionerà. Ruggeri mi ha sorpreso, ma non ricordo perché.

Stasera m'è piaciuta Dolcenera (strano, di solito la ignoro), ma a riempire la scena è stato il placido Beppe Vessicchio che, dopo la latitanza della prima serata, il pubblico del web (e non solo) acclamava a gran voce ed ha accolto come una star. Aspettavo Elio e le Storie Tese per capire come potesse essere un pezzo fatto solo di ritornelli: è proprio come quello che hanno fatto. Geniale ma onestamente inutile. Se vincessero quest'anno sarebbe come ammettere che il Festival è tutta una presa in giro. Ma almeno loro si divertono e se lo possono permettere perché lo fanno bene.
Spero che i Bluvertigo abbiano fatto altrettanto, perché la performance di Morgan non sarà certo ricordata dai posteri.
Patty Pravo ha fatto la sua prova. M'aspettavo pure peggio. Ma lei l'annovero tra quelli che ci "devono" stare, altrimenti Sanremo diventerebbe altro. Magari. Ma per merito di chi? I tanti giovani cicciati dai talent mi sono scivolati addosso come gli Zero Assoluto e peccato che in queste occasioni la voce del bravo imitatore Scanu non sia mai sostenuta da quella cosa indispensabile per diventare qualcuno che si chiama personalità. Del pezzo di Noemi mi piace il testo. Dei rapper non parlo perché non sono mia riuscita ad assimilarli al genere "cantante", parlo invece di Irene Fornaciari perché non ho capito perché continua a provarci. Chi manca? Ah, gli Stadio. Non m'ha fatto effetto ma ormai sono passate le due di notte e sono stanca, sinceramente non ricordo.
So che in generale non riesco più a sopportare chi non riesce a tenere l'intonazione manco sotto tortura. Considerando che stiamo parlando di cantanti sarebbe una cosa auspicabile.

La cosa più piacevole di queste due serate? Un Frassica distante dalla gara, consapevole e ficcante come sempre, che entra dicendo "Le canzoni sono tutte uguali. Io sono qui solo per conoscere Garko". Come dargli torto.

 © Caterina Somma - Tutti i diritti riservati



Uno sguardo è per sempre


Ci sono cose che ti segnano tutta la vita.
Nella mia, sono gli sguardi.
 
Quello di Robin Williams, per me, è stato uno di quelli. In una conferenza stampa lontana, dove intratteneva i giornalisti allo stesso modo come avrebbe intrattenuto un pubblico qualunque, durante le firme di autografi richiesti per dovere, il suo sguardo ha incrociato il mio. Due occhi chiari di adulto buono e saggio, in un silenzio muto fatto di miliardi di parole.
L'ho portato a casa quello sguardo in cui, chissà perché, lessi timidezza, solitudine, fame di complicità.

Mi viene in mente poi lo sguardo rassegnato di un mio fratello che, in punto di morte, cercava il mio per la necessità di farsi accompagnare dolcemente in un viaggio che sapeva di dover fare. In quello sguardo c'era il dispiacere di lasciarmi, la gratitudine per i miei sacrifici. Era un gatto, ma solo per gli altri. E io, per lui, non ero solo un essere umano.

Tra i ricordi indelebili c'è anche uno sguardo paterno. Di un uomo che non dimentica di essere padre anche se gli sta crollando il mondo addosso. Che si trattiene dal confessarti il suo terrore perché tu sei comunque la sua bambina, da proteggere, fino alla fine. Il terrore, però, l'ho letto, e ho cercato, con una carezza, di fargli sentire il mio amore, quello di tutta una vita. Chissà se ci sono riuscita.

Ricordo anche sguardi frivoli. Come quello malizioso di Huey Lewis a passeggio a Roma in via Frattina. Sguardo sfoderato con spavalderia dopo aver abbassato i Ray Ban, che partendo dalle mie gambe abbronzate saliva su e poi mi puntava il viso, mentre i suoi gli elargivano cameratesche pacche sulle spalle. Indimenticabile.

E quello indelebile, indescrivibile, di un uomo che non riusciva a dirmi addio.

C'è uno sguardo, però, che non sono mai riuscita a descrivere come avrei voluto. Ricco e pieno di tante di quelle cose che, forse, complice la mia giovane età, non potevo comprendere ma solo intuire.
Occhi di un azzurro intenso che ti mettevano a nudo e, al tempo stesso, ti facevano sentire parte del suo mondo. Occhi che mi hanno abbracciato, e compreso, e amato, e rimproverato, e osservato, sguardi rapidi, essenziali, profondi, fermi, inquietanti e rassicuranti.
Quelli erano gli occhi di Karol Wojtyla. 
Per sempre nei miei, insieme a tanti altri. A riempirmi giorni luminosi e notti buie. 

Huey Lewis and The News - Stuck with you

Padri


Padre è chi ama senza condizioni né riserve.
Chi fa crescere e cresce insieme ai suoi figli.
Chi trema per le sue scelte senza darlo a vedere.
Chi è capace di negare per poi concedere.
Chi infonde sempre fiducia e coraggio anche se lui non ne ha.
Padre è chi perdona, perché accettando di esserlo, ha messo in conto anche il dolore e ciò che ne consegue.

Sono fortunata, ne ho conosciuti molti di uomini così, che sanno fare da padre, in piccoli frammenti di vita o anche per anni, ad altri figli incontrati per caso lungo la strada. Senza volerlo, magari senza saperlo.
Oggi voglio ringraziarli tutti, quelli che sono e quelli che sono stati. Soprattutto per me.
Il mio, ovviamente, apre la fila...



Father, son, locked as one, in this empty room
spine against spine, yours against mine, till the warmth comes through
Remember the breakwaters down by the waves
I first found my courage knowing daddy could save
I could hold back the tide, with my dad by my side.
Dogs, plows and bows, we move through each pose, struggling in our separate ways
mantras and hymns, unfolding limbs, looking for release through the pain
and the yogi's eyes are open, looking up above, he too is dreaming of his daddy's love

with his dad by his side, got his dad by his side.
Can you recall how you took me to school, we couldn't talk much at all
It's been so many years and now these tears guess I'm still your child
Out on the moors, we take a pause, see how far we have come
You're moving quite slow, how far can we go father and son
with my dad by my side, with my dad by my side, got my dad by my side with me.


La forza di un sogno



Mia figlia deve fare un tema. Si lamenta, non riesce a capire la traccia che dice: L'amicizia. Siamo tutti diversi eppure in fondo siamo tutti uguali. Non trova il nesso tra la parola e la frase.
Ci penso.
Anche a me sembra che non ci sia il nesso, ma non è così. Ho sempre sostenuto la forza e la bellezza della varietà. Il nesso lo trovo, ne parlo con lei. Io non ho nemmeno un amico che somigli ad un altro, e questo mi piace molto. Adoro i loro gusti diversi, le loro manie. Cerco di capire le loro fissazioni e quando non le capisco le accetto e basta. Da ognuno imparo qualcosa di diverso, ognuno mi arricchisce.
"Pensa. Poi scrivi quello che senti...". Aggiungo "Correggi dopo".
Mia figlia sembra aver capito cosa intendo. E si allontana di corsa per mettere nero su bianco l'idea che gli è balenata in testa.

Io accendo il pc e sorrido. E bello scoprire che tra gli amici c'è chi, come te, riesce a fermare un'emozione scrivendo parole. Non per ottenere consensi, non per cercare applausi, solo per il piacere di farlo. Sono felice. Ho passato un bel pomeriggio di sole in compagnia di amici belli. Ascoltando, più che altro, un po' in disparte. Mi piace farlo ogni tanto, perché ascoltare significa conoscere. E imparare. 
E penso che in fondo, a chi sta crescendo, si dovrebbe far capire la gioia che si prova a fare qualcosa che ti piace. Poi, può anche succedere che il tuo piacere si trasformi in un mestiere che ti realizzi. Succede molto più spesso di quanto si possa credere.

Penso a Maurizio, ieri, che scende solo in una cantina che sa di muffa, e oggi che sale su un palco di uno stadio insieme a migliaia di persone. Penso a Rocco, ieri, che ti saluta frettolosamente per non perdere la metro delle undici e mezza, e oggi, che si attarda a firmare autografi nei cinema dove vengono proiettati i suoi film. Penso a Luca, ieri, che esce a fatica dalla sua Fiat 126 azzurrina stipata di bagagli, e che stasera entra senza alcuna difficoltà nella parte di Adriano Olivetti.
E sono felice per loro, a cui voglio bene, così come sono felice per tutti quelli che credono in quello che fanno, con gioia. Che siano artisti, operai o impiegati. Che siano padri o madri. Penso anche a me.

Lo stand-by non mi si addice, ma devo riconoscere che ha una sua funzione. Ora è tempo di andare oltre.
Coraggio Caterina, credici ancora. Coraggio Italia, credici sempre.
La forza di un sogno (e della speranza) non ha eguali.

Non sempre si è come si vorrebbe essere. Ma ci si prova... Sempre. 
Ai miei amici. Ai miei sogni. 

Là, Lucio Dalla

Misunderstandings

Non ci si conosce mai abbastanza. Ma se si ha l'umiltà di ascoltare le cose che altri dicono su di noi, è più facile capire quello che ci riguarda.

Il mio primo fidanzato, gelosissimo, mi accusava di guardare "un po' troppo" gli altri uomini. Io, in quel periodo, giuro, non avevo occhi che per lui. Il primo amore è così abbagliante, che non esiste niente all'infuori di esso. Eppure. Eppure mi rimproverava continuamente un supposto interesse per questo o per quell'altro, tenendomi il broncio per giorni, scatenando dentro di me spropositati, inguaribili sensi di colpa. Fino al giorno in cui, durante uno spettacolo circense (ebbene sì, mi portò al circo), mi fece una scenata da applausi per un presunto sguardo d'intesa con un giovane e aitante domatore di leoni. Deve ringraziare, forse, la mia giovane età (e pure la presenza di mia madre), se la sfuriata non si trasformò nella scena madre di Dramma della gelosia.

Fin da quel giorno di inizi anni '80, capii che qualcosa non tornava...
Una scena tale aveva fatto nascere il sospetto, dentro di me, che l'uomo che avessi davanti non fosse molto sano di mente. Non trovavo nessuna colpa nelle mie azioni, nè nelle intenzioni. Non c'era. La malafede era sua. E se voleva pensar male, il problema era suo.

Qualche anno dopo però, un fidanzato un po' più grande, con molta pacatezza e molto amore, mi parlò ancora dei miei sguardi. Non ricordo né come né perché nacque tale discorso, ma lui disse qualcosa che mi fece molto effetto circa il mio modo di guardare gli uomini. Non mi accusava di fissarli, no, mi faceva solo notare che i miei occhi si soffermavano un po' troppo in quelli del mio interlocutore, cosa che autorizzava l'altro a pensare che volessi da lui qualcosa di più. Una questione di attimi, diceva lui, qualcuno di troppo.

E' passato tanto tempo da quel giorno, ma ho sempre continuato a pensare a quella teoria, sposandola sempre più, anno dopo anno, e trovandomi sempre e comunque impotente di fronte ad essa.
In realtà non posso modificare il mio modo di guardare, non posso cambiare la mia naturale curiosità per un altro, chiunque esso sia, diverso da me. E ho continuato, quindi, a guardare tutti nello stesso modo, nella consapevolezza assoluta di poter essere male interpretata. Al diavolo quindi i sensi di colpa e al diavolo le idee che qualcun altro poteva farsi, errate, sulle mie intenzioni.

Il mondo mi incuriosisce. L'uomo, in quanto essere diverso da me, ancora di più.
Continuerò, nelle mie conversazioni, a guardarlo come faccio da sempre. Come faccio con animali, oggetti inanimati, luci e panorami. E' il mio modo di conoscere e comprendere.
E non fa male a nessuno.



Quell'amore là che degli amori non ha i guai


Perché nessuno ci crede?
Perché non è possibile, per qualcuno, credere che si possa scegliere di non volere?
Ci siamo baciati una sola volta, e subito dopo abbiamo riso, ne abbiamo riso così forte da far tremare tutto il mondo di quelli che credono di sapere tutto, che sanno, che invidiano, che insinuano e che sono bravi a trarre conclusioni. Tutti quelli che non credono che il mondo sia fatto di esigenze diverse, che non hanno a che fare con la carne, o almeno, ne hanno a che fare in maniera marginale, solo perché ti hanno insegnato che un uomo e una donna si attraggono, e anche tu, infarcito di luoghi comuni, confondi l'attrazione fisica per un altro tipo di urgenza.
Ma capita, per fortuna, di farle certe esperienze, e solo quando ti ci scontri capisci che quello di cui parlano gli altri non c'entra affatto con quello che stai vivendo tu.
Sono fortunata, non c'è che dire. Sono riuscita a godere di rapporti così, e non solo con te. Rapporti che mettono paura ai non educati sentimentalmente, a chi non riesce a sentire, perché fanno impallidire il più grande degli amori, che pure finirà, come è finito tutto il resto, come finirà anche quello che sto vivendo.
Nascere di sesso diverso è solo un'opportunità in più. Che io non voglio smettere di cogliere, perché la vita è prendere e dare, e niente altro. Ed è quello che voglio più di tutto. E non solo da un figlio, da un padre, da un marito. Non mi basta. Voglio quello che mi apre il cuore e la mente, voglio quello che mi fa ridere e che mi fa piangere, voglio tutto se posso averlo senza pretenderlo e senza comportarmi male.
Lo so cos'è il male. E non è questo.
Continua a ridere degli altri, amico mio, anche se ci hanno insegnato che non si fa. Continua a non dubitare di te stesso, anche se ci hanno detto che sarebbe sempre meglio farlo. Continua a credere di essere il migliore, perchè lo sei, perché ognuno, a modo suo, lo è.
Quando ci ritroveremo, riderò forte anche io, con te. Nel frattempo, lo farò da sola, quando nessuno capirà...
Brothers in Arms, Dire Straits
C.S.

Cronaca di un distacco telefonico


Qualche anno fa
Io, che da sempre lavoro con i computer, apprendo con gioia che la Telecom ha finalmente predisposto un servizio di gestione della linea telefonica on line. E con il sollievo che accompagna sempre le notizie che ti semplificano la vita, mi affretto ad iscrivermi nell'area clienti della compagnia telefonica. Qualche dato, user name e password e voilà, il gioco è fatto. Almeno sembra fatto.
Perché, io che lavoro da sempre con i computer, lavoro con un Mac. L'editoria, come il mondo della grafica e della musica, usa Mac, e non per snobbismo. Certo, la maggior parte degli utenti, in Italia, usa il Pc... Che faccio, reclamo? Mah, forse non vale la pena. Comunque la mia segnazione la faccio lo stesso.
"Sì, lo so, signora, con i Mac il servizio dà dei problemi", risponde l'operatore. E meno male che la compagnia si occupa di telecomunicazioni! Per pagare le bollette del telefono online devo andare in un call-center. Faccio fatica, ma almeno contribuisco alla salute del pianeta. Finché...

Un anno fa
Nonostante le mie segnalazioni, il 187 on-line continua a funzionare solo per Pc. Allora, pur essendo un'ecologista e anche volendo con tutta me stessa risparmiare la foresta amazzonica, torno al cartaceo. A malincuore, chiedo che le bollette mi vengano di nuovo recapitate alla vecchia maniera, ossia tramite servizio postale. Ma, dopo un paio di invii, Poste Italiane sembra dimenticare il mio indirizzo... COMINCIO A NON RICEVERE PIU' BOLLETTE PER POSTA (ma solo da Telecom, perchè l'altra posta arriva correttamente).
Per fortuna, tramite e-mail, mi arriva comunque la segnalazione di emissione della bolletta. Così, in un modo o nell'altro, vengo a sapere che è stata emessa e riesco a pagarla on line. Dal mio computer, il cui hard disk è stato partizionato per avviarsi anche in modalità Windows...

Due mesi fa
Faccio il numero di casa. Libero, ma nessuno risponde. Strano. In casa c'è qualcuno, lo so, che poco dopo mi chiama dal cellulare. Torno a casa, verifico di persona che il telefono non funziona. Chiamo il 187, e l'operatore mi dice che l'utenza è stata sospesa per morosità. Mi sono scordata di pagarla? Può essere. Se non ti arriva mai nessuna comunicazione, può anche essere che te ne scordi.
"Signora, lo so - mi dice laconicamente l'operatore Telecom - tutta Italia lamenta di non ricevere più le bollette, deve fare un reclamo a Poste Italiane"
Ma perché? Fatelo voi! Chi me lo paga il tempo perso per andare a fare reclami? E così otterrò di nuovo la mia linea? No. E che ti staccano la linea dopo la prima fattura non pagata?
"Signora, ma perché utilizza la domiciliazione bancaria?"
La risposta non sarebbe semplice e brutale come quella che mi viene in mente, così, sforzandomi di essere gentile, rispondo che preferisco fare così, per tenere la spesa sotto controllo. Vado in posta a pagare un bollettino in bianco con l'importo da saldare. Aspetto qualche giorno. Niente da fare Riprovo a chiamarmi da fuori. Un disco mi risponde, dispiaciuto, che il numero da me composto è inesistente. Sarà un contatto. Rifaccio il numero. Il disco, imperterrito, ripete lo stesso messaggio. Sarà un guasto. Richiamo il servizio clienti per segnalarlo.
"Verrà ricontattata entro 24 ore".

Due giorni fa
Passa una settimana. Nessuno si è fatto vivo. Nell'ennesima chiamata al 187 sono un po' meno gentile...
"Per forza non la chiama nessuno signora, non c'è nessun guasto, l'utenza è stata sospesa". Perché? "Non lo so signora, controllo.... Signora, mi scuso per l'attesa, qui mi dice che l'utenza è stata cessata". PERCHE'?
"Non so, signora, a me risulta che i pagamenti sono tuti regolari. Forse l'ha chiesto lei?".
Rispiego tutto daccapo.
La mia scelta iniziale di sospendere il cartaceo. La mia scelta successiva di tornarci. La mancanza totale di bollette di carta e la mia rassegnazione a non ricevere più niente da Telecom. Nel frattempo l'operatrice trova qualcosa e mi dice che, circa un mese fa, Telecom mi ha inviato una raccomandata di rimborso. Di che? Del canone che avevo già pagato in anticipo.
"Ancora non ha ricevuto il rimborso signora?"
NON RICEVO MAI NULLA PER POSTA DA TELECOM DA MESI!!!
Ribadisco il concetto, stavolta mi viene un po' da ridere.
"Allora signora, ho parlato con il mio superiore, mi ha detto che è chiaro che Telecom ha commesso un errore. Entro 48 ore riceverà una telefonata sul cellulare che le dirà che la linea è stata ripristinata. E poi, certamente, oltre al rimborso delle spese per un servizio che non ha potuto utilizzare da mesi, riceverà delle scuse scritte da parte di Telecom"...
Scritte? 
La promessa è esilarante, verrebbe da piangere...
Invece, prima di riagganciare, condivido con l'operatrice telefonica una risata fragorosa.



Asteroidi nel tempo

Nessun asteroide entrerà in contatto con la terra.
Sono affermazioni come questa a farmi tremare. Come quelle del capo della Protezione Civile, quando afferma che lo sciame sismico è sotto controllo, e la gente può tornare a dormire sotto le lenzuola.
Temo, come ho tremato sabato sera sulla sedia di legno a dondolo, illusa che il tremore fosse dovuto al gatto che giocava sotto ai miei piedi, confortata dall'apparente immobilismo del lampadario sulla mia testa.
La scossetta di terremoto, due giorni dopo l'asteroide e sei giorni dopo l'annuncio delle dimissioni del Papa, sta a lì a ricordare le nostre fragilità, l'inconsistenza delle nostre esistenze, la forza della natura che, se deve manifestarsi, lo fa pure mentre sul palco dell'Ariston si stanno contendendo la vittoria del Festival di Sanremo.
Ed è pura coincidenza - ci dicono - se il meteorite che ha fatto sfracelli in Russia sia caduto il giorno in cui era previsto il transito dell'asteroide tenuto d'occhio da tempo.
La natura fa il suo corso, pure se manca solo qualche giorno alle elezioni politiche. Con rassegnata accettazione ne prendiamo atto.
Questo però non vuol dire che con la stessa rassegnazione siamo obbligati a subire tutto quello che ci passa accanto o ci viene imposto, specie se da altri esseri umani. Nasce ogni tanto qualcuno che ce lo ricorda.
Oggi, nel 1600, anche sul rogo Giordano Bruno continuava a sperare "verrà un giorno che l'uomo si sveglierà dall'oblio e finalmente comprenderà chi è veramente e a chi ha ceduto le redini della sua esistenza, a una mente fallace, menzognera, che lo rende e lo tiene schiavo...".
Ma la conosceva, Bruno, questa classe politica? Forse sì. "L'uomo non ha limiti e quando un giorno se ne renderà conto, sarà libero anche qui in questo mondo", disse anche.
Caro Giordano (perdoni il mio affettuoso appellativo), il risveglio delle coscienze, ciclicamente, c'è stato e c'è.
Ma dopo ogni rivoluzione, va a sbattere inevitabilmente contro il muro degli interessi personali; di fronte ai quali, i limiti umani tornano a manifestarsi in tutto il loro cinico e drammatico splendore.
Che resta? Il libero arbitrio.
© Caterina Somma - Tutti i diritti riservati
Asteroids in the Distance
Image Credit: R. Evans & K. Stapelfeldt (JPL), WFPC2, HST, NASA

Non-morto un Papa se ne fa un altro


Ero in una sala d'aspetto di un policlinico romano, annoiata dagli eterni tempi d'attesa delle visite mediche, quando il televisore approntato per quietare i pazienti non pazienti ha trasmesso l'edizione straordinaria del telegiornale. La sala, improvvisamente silente per raccogliere rassegnata qualunque tragica notizia, ha invece accolto le dimissioni del Papa con un deciso sollievo, che trasmetteva con ironico stupore, tra sorrisi, sguardi increduli alla ricerca di altri sguardi, complici, una volta tanto, di un evento unico ma non drammatico. Diciamo la verità: oggi fa più male scoprire quanto si deve pagare d'Imu che apprendere che il Papa lascia.

Non sono anziana ma neanche così giovane da non cercare, nella memoria, un evento analogo nella storia recente dell'umanità, e mentre continuavo a dirmi che l'atto non era cosa giusta, ho ricordato qualche papa rinunciatario in epoche lontane. Ma nella mente riuscivo solo a pensare al gesto di Celestino V, ufficialmente spinto all'abbandono "per umiltà e debolezza del corpo e la malignità della plebe" ed effettivamente stufo di pontificare sotto le pressioni di Carlo d'Angiò. Ma non c'è niente da fare: anche se i motivi che lo spinsero a rinunciare sono stati storicamente compresi, nella testa di noi italiani, figli di Dante Alighieri, il povero Celestino sta all'inferno, e lì deve restare. E anche se la logica ci dice che Napolitano ha ragione quando parla di gesto "di straordinario coraggio" da parte di un uomo che non se la sente più, fisicamente, di svolgere il suo ruolo, restiamo perplessi. Comprendiamo le dichiarazioni di Berlusconi che dice che se Benedetto XVI si dimette è "per garantire alla Chiesa Universale un governo saldo e forte" e apprezziamo perfino lo sforzo di Bersani, che tranquillizza dichiarando che "questo Papa non prende decisioni per debolezza ed è un grande teologo".
L'abbiamo capito: si può fare. 

Ma un cervello ce l'abbiamo pure noi. Ce l'ha pure tutta la gente di stamattina, in quella sala d'attesa, che, mentre lo speaker del tg riporta le dichiarazioni ufficiali della stampa vaticana, parla di periodo "carnevalesco", sotto tutti i punti di vista... Nessuno giudica il Papa, forse non si permette così, a freddo, ma qualcuno tira fuori i segreti della Chiesa, invoca la verità su Emanuela Orlandi. E qualcuno si chiede che effetto avrà questa decisione sulle prossime elezioni politiche

Nella testa si scatenano i pensieri più vari. La prima cosa che mi viene in mente è che l'11 febbraio, anniversario dell’apparizione di Nostra Signora di Lourdes, è la data della firma dei Patti Lateranensi tra Santa Sede e Stato italiano che, così, "risolvono ed eliminano la Questione romana". Mi viene perfino in mente un articolo che ho scritto due anni fa sul numero 11, numero Maestro, dal grande potere esoterico... Me lo rileggo. Che guaio...  
Mi viene in mente Nostradamus e Malachia, che nella profezia in cui elenca i papi, dopo il 111-esimo (che dovrebbe essere proprio Benedetto XVI "Gloria Olivae"), interrompe la numerazione, e il 112-esimo lo chiama Petrus Romanus senza indicare il numero e scrivendo: "In persecutione extrema Sanctae Romanae Ecclesiae sedebit Petrus Romanus, qui pascet oves in multis tribulationibus; quibus transactis, civitas septicollis diruetur, et Judex tremendus iudicabit populum suum. Finis". Chi è Pietro Romano, il papa-non papa (perché eletto in modo diverso?) sotto cui crollerà la Città dei Sette Colli? 

No, no, non mi va di entrare nel circolo vizioso delle interpretazioni di profeti e profezie. Ma una curiosità astrologica mi impone di dare un'occhiata al suo tema natale. Scopro così che le "dimissioni" sono state pronunciate all'indomani di una Luna Nuova in Acquario che, nel tema natale del Papa, si accompagna a ben 6 pianeti (Sole, Luna e Venere + Marte, Mercurio e Nettuno) nella sua XII Casa natale, tra Acquario e Pesci. Urano, in I Casa, è il regista della scena.
Senza farla lunga e per i non addetti: che Joseph Ratzinger sia stanco e non se la senta di andare avanti è plausibile, ma tutto quell'affollamento di pianeti nella casa delle prove e dei segreti, odora di mistero. Magari è vero che c'è qualcosa che non ha saputo gestire...  

Lascio stare pure l'astrologia e torno coi piedi per terra.
So, per mestiere, che 50 anni fa, proprio l'11 febbraio, i Beatles incidevano in un sol giorno, negli study d'Abbey Road, il loro primo album. Se non sono stati una rivoluzione i Beatles... Domani inizia il Festival di Sanremo: chissà se la notizia avrà un'eco anche dal palco dell'Ariston. Comunque, personalmente apprezzo che il Papa abbia evitato Twitter (almeno fino ad ora) per comunicare una cosa così importante.

Intanto, su Facebook, notizie e immagini collegate alla decisione di Benedetto XVI si moltiplicano. E a parte gli ovvi fotomontaggi sul possibile successore del Papa (Silvio in abito talare), l'immagine che non mi tolgo dalla mente è quella del fulmine che casualmente, proprio ieri, si è abbattuto sulla cupola di San Pietro. La foto sembrerebbe autentica, ma anche se non lo fosse...  
Citando una canzone della Tosca di Gigi Magni... anche se siete innocenti, "tremate lo stesso, cacateve addosso".

© Caterina Somma - Tutti i diritti riservati


Over the rainbow

Ciao Lucio,
ti sentiamo anche da lì...

Thank you, Steve

 The best medicine...

I cileni conoscono Alfredino?

Stanno uscendo. Uno alla volta, i minatori cileni intrappolati nelle viscere della terra da oltre due mesi, con la calma indispensabile ad operazioni del genere. Mentre scrivo sono a quota 9 e, ora dopo ora, aspetto che il conto arrivi a 33, cifra fatidica che ha scatenato i patiti di numerologia (uguale alla somma delle cifre della data del salvataggio 13-10-10) e che rievoca pensieri biblici, alimentati dalle dichiarazioni del secondo dei minatori a rivedere la luce del sole, Mario Sepulveda: "Sono stato reclamato da Dio e dal diavolo, hanno combattuto e alla fine Dio mi ha vinto".  

Ma noi italiani, questa passione l'abbiamo già vissuta. Quasi trent'anni fa. Nessuno di quelli che, increduli, hanno assistito in diretta all'agonia di Alfredo Rampi, riusciva a immaginare quello che sarebbe avvenuto. La sua voce era lì, solo ottanta metri più in basso, in quel pozzo maledetto. E poi il silenzio. Non riuscivamo a spegnere la televisione. Non potevamo accettare una fine così.

Ventinove anni dopo riviviamo quell'incubo, e ad ogni minatore che risale in superficie risale anche un pezzetto del sorriso di Alfredino, lui che non ce l'ha fatta e che certo starà assistendo a questo salvataggio, guidando i passi e le mani di chi lavora per fare il miracolo.

Tirare fuori. Dal profondo.
Necessita di tanto tempo, è faticoso, fa male.
Occorre pazienza, volontà, aiuto.
Ma quando qualcosa comincia ad uscire, il processo è inarrestabile.
E tu non sei più quello di prima. O forse torni ad esserlo.

Uno l'abbiamo trovato!

Stavolta dicono sia proprio vero! Un altro pianeta compatibile con la vita l'hanno trovato veramente.
E' roccioso, abbastanza grande (4 volte la terra) e un po' freddino (la temperatura media di superficie oscilla fra i -31 e i -12 gradi centigradi), ma ci si può andare. Si trova a soli 20 anni luce dal nostro sistema solare.
Nonostante sia nella costellazione della Bilancia, non sembra però molto... poetico.
Già dal nome. Si chiama Gliese 581g. Impiega solo 37 giorni per fare il giro intorno ad una Nana Rossa (noi abbiamo IL SOLE, sigh). E attorno alla nana girano solo altri 5 pianeti (in caso di trasferimento, sarebbe da rivedere tutta la materia astrologica!).
A occhio, sembrerebbe andar bene per eremiti eschimesi in cerca di rapide, mezze stagioni, da vivere in assoluto silenzio...

Però sarebbe ottimo per spedirci - con biglietto di sola andata - quelli che sputano sulle bandiere, che fischiano gli inni nazionali o che tirano scarpe in Parlamento.
E a tutta un'altra serie di animali, di cui mi riservo di suggerire il nome in un secondo momento.

Si perdona tutto, tranne il dolore


 
"Si dimentica prima una ferita che un insulto"
(Philip Dormer Chesterfield)
Capita.

Anche a Belen è capitato.
Quello che definisce il suo addio definitivo (ma chi ci crede) a Fabrizio Corona - secondo l'intervista che la ragazza ha rilasciato a "Vanity Fair" - sarebbe dovuto a questioni di fiducia "anche perché è capitato, negli ultimi tempi, che non mi fidassi di lui...", ammette. Non è una delle tante crisi passeggere, a sua detta, si tratta di un addio definitivo. Per i maligni, forse nessuno dei due trae più beneficio dallo stare insieme all'altro. Per i romantici, la passione è finita. Oppure.

Oppure è veramente una questione di fiducia persa. Fiducia: la quintessenza di un rapporto d'amore. Una volta perduta, nei confronti di una persona, difficilmente si recupera.

Sembra incredibile. Eppure è così. Gli errori si fanno, gli errori costano, gli errori fanno male. E si fanno. Ancora. Lo stesso. Bugie, sbagli, menzogne. Orrori dell'anima. Che procurano fratture all'osso che, una volta spezzato, non si risalda mai nel modo giusto. O si risalda e poi si spezza. O fa male quando cambia tempo. Per ricordarti che la frattura è stata piccola ma dolorosa, grande anche se silente. Come un tarlo, scava silenziosa, anzi mica tanto, finché distrugge il materiale di cui si nutre e manda tutto in pezzi. Silenzioso, il sospetto che nasce dalla mancanza di fiducia, lavora dentro e combatte per vincere la guerra, non la battaglia.

Le battaglie durano anni, decenni. Ma alla fine, quel tarlo, la vince quella guerra.
Capita.

Er popolo se vo' fa' sentì!

I mondiali di calcio sono un appuntamento estivo che nessuno può né vuole schivare completamente. L'amor di patria (ma forse di più l'amore per il pallone) ci impone di sederci davanti allo schermo per fare il tifo per gli Azzurri, così come ci sentiamo quasi obbligati, il 2 Giugno, a dare uno sguardo al cielo di Roma per cercare di avvistare le frecce tricolori. Un orgoglio.

Sono italiana e me ne vanto. Insomma, non me ne vergogno. Adoro questo paese e la mia città, quando me ne allontano troppo a lungo mi manca l'aria e riprendo a respirare quando riabbraccio smog e monumenti, epiteti e parolacce, tramonti e sguardi, gatti e umanità varia, che a Roma vivono gli uni a contatto degli altri in fraterna, totale, millenaria sopportazione. E orgoglio.

Nessun paese al mondo è così.

I Mondiali di calcio, però, vanno oltre l'orgoglio nazionale. Sono un evento la cui eco si diffonde in lungo e in largo, in basso e in alto, dentro la testa e nei cuori.

Puntuali, al primo incontro dei Mondiali, tutti abbiamo acceso la tv. E tutti, ma proprio tutti, abbiamo provato un terribile fastidio per quell'odioso frastuono che, incessantemente, ci tiene compagnia per tutta la durata della partita. Eppure lo sapevamo. Lo sapevamo che le vuvuzelas facevano tutto quel rumore...

I corni di plastica, simbolo della tradizione calcistica sudafricana, non piacciono a nessuno. I calciatori si distraggono, i tifosi non si godono la partita... Nonostante le lamentele ufficiali, la FIFA non può intervenire. Giusto. Io - sarò antica - al secondo incontro ho abbassato l'audio della tv e ho acceso quello della radio. Da lì, le trombette africane non danno tutto quel fastidio. La partita me la godo lo stesso. E ho smesso di lamentarmi.

Eppure, con mio grande stupore, c'è tanta gente che... corre a comprarsele. Non volevo credere ai miei occhi. Il 18 giugno, fila di un'ora, a Milano, per accaparrarsi quelle offerte gratuitamente dell'ente del turismo sudafricano (alla South Africa House, in viale Monte Nero - date un'occhiata a questo link).

La mattina seguente sono sull'autobus, in via del Corso, e sento le famose trombette. Fastidiosissime. Ma chi le suona? C'è una manifestazione davanti a Montecitorio. E i manifestanti sono lì, con striscioni, catene e tamburi ma, soprattutto, con tutto il fiato che hanno per soffiare la loro rabbia dentro a quelle trombe. Ho capito.

Le vuvuzelas non le sopporta nessuno perciò...  sono ottime, per fare casino.
Avranno un gran successo.

"Non sono del Comune!"

La mia macchina fa i capricci. Per qualche giorno la lascio dal meccanico. Mi sposto a piedi, quando posso, e quando non posso prendo un taxi. C'è un posteggio a cinquecento metri da casa, un telefono urbano da chiamare per avere in circa 60 secondi un'auto a disposizione.
Già al secondo giorno del malaugurato e incomprensibile (anche per i meccanici) malessere della mia auto, la linea della colonnina del taxi fa occupato. Sempre.
Ok, il telefono è isolato, lo aggiusteranno. Esco a piedi su quindici centimetri di tacchi. Per la fretta mi gioco un legamento del piede destro.

La macchina continua a fare le bizze. Mai, come in questi giorni, devo spostarmi velocemente in città più volte al giorno. Mi fa una rabbia dover chiamare il radiotaxi, che quando arriva a prenderti segna già 6/7 euro di chiamata... Perchè diavolo non riparano quella maledetta linea!
I giorni passano. Decido di chiamare la compagnia telefonica per segnalare il guasto.

Riesco a parlare con un umano solo dopo cinque/sei numeri verdi. Sì, perché la colonnina del taxi appartiene al Comune di Roma, e per segnalare un guasto di una linea comunale c'è una linea particolare, a cui risponde un operatore milanese di un'azienza (milanese?) che gestisce tutte le linee del Comune di Roma. Riesco finalmente a fare la mia segnalazione. L'operatore mi chiede nome, cognome, telefono, mi comunica il codice del reclamo e mi chiede il mio ruolo. Ma quale ruolo?
"Sono solo una cittadina che non può usufruire di un servizio pubblico".
L'operatore, perplesso, mi dice di attendere perché sta facendo un controllo. Mi dice che effettivamente la linea non funziona, perchè c'è un corto-circuito. Chiedo quanto ci vorrà per ripararlo. Massimo 24 ore, mi assicura. Saluto e ringrazio.

Il giorno seguente sono ancora su un'altra auto pubblica e chiedo all'autista notizie del telefono. Lui casca dalle nuvole. A sentir lui, nessuno si è accorto, in dieci giorni, dell'inconveniente.

L'indomani prendo un altro taxi e, per sfogarmi con qualcuno solidale alla mia battaglia, gli racconto tutta la storia. Il tassista mi scoppia a ridere in faccia:
"A signo', ma figurete se l'aggiusteno - risponde divertito - poi pure moricce attaccata ar telefono!"
Rispondo un po' piccata, da cittadina modello: "Però se domani funziona la chiamo e mi regala una corsa!". Lui continua a ridere e bofonchia. "Nun ce sperà...".

Il pomeriggio provo a chiamare. Il telefono squilla. Evviva, ce l'ho fatta. Il taxi lo pago un po' meno.

Passa ancora un giorno. Ricevo una telefonata della telecom. Perché? Ormai il problema è risolto. L'operatore vuole sapere chi sono. Ancora?
"Guardi, sono solo una cittadina che ha segnalato un guasto che mi impedisce di usufruire di un servizio pubblico!
"Aahh, ma lei, allora, lei non è una del Comune..."
"No che non lo sono - insisto - ma qual è il problema?"
Il silenzio dell'operatore è così eloquente che smetto di fare domande.

Ora devo prendere un taxi. Chiamo.
Ma guarda un po'. Il telefono è di nuovo isolato.

Veloce o lenta?



Accendo la tele. La cronaca mi parla quotidianamente di morte. Morti rapide o lentissime, inaspettate o prevedibili, tranquille o violente. Abbiamo una sola esistenza e non sappiamo di certo come ci sarà tolta. Se saremo noi ad andare incontro alla morte o se sarà lei a sorprenderci, tagliando il filo che ci lega a quest'unica vita in un tempo infinitamente piccolo, tale da non farci nemmeno rendere conto del momento. Quale morte augurare ai propri cari, quale morte augurare a se stessi?
Spengo. Chiudo gli occhi.

Il pericolo reale, forse, non è quello di smettere di vivere (che in effetti non è un pericolo, è una certezza che nessuno può evitare). Quel che è pericoloso, davvero stavolta, è vivere senza rendersene conto.

Vegetare, con l'alibi di essere troppi stanchi del lavoro, troppo stressati dal traffico, troppo impegnati per ricordare cose diverse dall'essere... se stessi. Trascorrere giornate ad aspettare che finiscano, vivere il lavoro, l'amore, gli affetti, come se tutto fosse lì, immobile, per sempre. Credere di riposarsi sul divano inebetiti davanti ad uno schermo, mentre ciò che si sta facendo, realmente, è perdere tanti momenti più importanti di una vita che non ripasserà sotto ai tuoi occhi.
Perché crescendo si smette di studiare, di sognare l'amore, si dimenticano i progetti, si scordano i desideri, si accantonano i sogni, in nome di un rigore e di una compostezza strumentali solo alla nostra pigrizia, al nostro egoismo. Si eludono le responsabilità, si scambiano per doveri quelli che una volta si consideravano dei diritti e che, una volta, si consideravano dei piaceri, delle conquiste.

Non possiamo evitare di morire.
Ma io non voglio evitare di vivere.

Non vedere, non sapere



 foto da internet


Veline & calciatori, deputati & trans, magistrati & tv.

Non pensavo a queste cose quando decisi di mettere al mondo un figlio. L'entusiamo, l'amore per la vita, la voglia di essere donna e dar frutto anche alle mie potenzialità fisiche oltre che mentali erano talmente preponderanti su dubbi e timori, che non ebbi alcuna esitazione, eccezion fatta per quelle di natura medica (delle quali, sinceramente, me ne sono sbattuta altamente).
Così, mettendo a parte gli egoismi e le paure che, tuo malgrado, entrano in gioco quando inizia la partita, ho lasciato che la natura compisse il suo corso.

Oggi ascolto, ma non comprendo, le donne che hanno paura di soffrire di parto, quelle che hanno paura di vedere il proprio corpo trasformato, quelle che non vogliono passare in secondo piano agli occhi del proprio compagno (o peggio dei loro genitori), quelle che rinunciano o rimandano in nome una carriera professionale senza intoppi, quelle che, tutto sommato, pensano che alle brutte un figlio lo possono anche adottare...
Ora che sono madre, ascolto ma non comprendo, quelli che cercano di farti vedere come tutto, ma proprio tutto, non funzioni, come il sistema sia bacato al suo interno, come sia inutile e inconsistente il tuo modo di vedere e di muoverti in un mondo in cui regna l'interesse personale e la brama di potere e che ti ignora, se non sei in grado di contruibuire a far muovere gli ingranaggi.
La gioia di generare è quella di un pittore che finisce la sua tela, di uno scultore che deve dare forma alla creta, di un musicista o uno scrittore che danno senso compiuto ad un mucchio di note e di parole. Con il compito gravoso - enorme e spaventoso - di dover dare un senso a quello che hanno creato: formargli una testa per pensare e gambe forti per andare, una mente lucida per discernere e un cuore grande per capire e perdonare. Ogni madre vorrebbe riuscire a dare questo ai propri figli.

Ma il lavoro manca. E decenni di studi non bastano a garantirtelo, mentre le veline ballano solo per un lustro e poi si godono ripetute vacanze ai tropici pagate da un assegno di mantenimento dell'ex coniuge asso del pallone. Questo non si può spiegare ad un figlio.

Nel terzo millennio, incredibile a dirsi, non c'è educazione che ti garantisca rispetto, non c'è morale che ti assicuri onestà. Regole, principi, leggi: perché applicarle o peggio insegnarle?
La risposta, tutto sommato, è semplice. L'unica cosa che può salvarci è una testa che funzioni. Può salvarci? E in quanto tempo? Ma che ne so... Di certo so che la capacità di giudizio è l'unica cosa che una madre dovrebbe aver cura di insegnare ai propri figli.
Essere in grado di pensare con la propria testa. Già.
Ecco perchè i valori etici e morali andrebbero comunque inculcati (sì, volevo proprio usare questo termine), non tralasciando il piccolo particolare di crederci e di dare pure il buon esempio, ovviamente. Vedere per capire, ascoltare per imparare, pensare per distinguere. Scegliere per vivere.

Se solo si avesse il coraggio di scegliere per vivere, e non per sopravvivere.

Per cominciare bene...

All'inizio dell'anno si fanno buoni propositi... 
Non è mai troppo tardi per rinsavire e perchè, ognuno di noi, possa contribuire ad un mondo diverso.
(E chi pensa che questo brano sia offensivo o blasfemo è un cretino!)
La macchina che guidi guarda bene non è tua,
la paghi tutti i giorni al fabbricante di liquame
che va a cena con i santi,
che t'infilano le bombe nelle tasche.
E fanno guerre
che bruciano ragazzi come te
che cadono col sogno di proteggere un sogno
e in chiesa la gente che piange
fa largo e si stringe
nel posto in prima fila c'è sempre
un governante che tratta col mercante
che cena con i santi che tirano le bombe
e tirano le somme e il ciclo non si rompe,
la guerra non è santa, ma noi stiamo arrivando
col libro in una mano, la bomba nell'altra...

Nel pane c'è il corpo, nel vino c'è il sangue.
Nell'oro il demonio, nell'umiltà il santo
Scintilla un anello di giallo metallo,  
la mano pietosa saluta il Consiglio
Al polso gemelli di rosso rubino,  
su un abito bianco di seta e di lino
La porpora è un manto di gloria e di vanto,
sul petto una croce con sopra il suo Santo
"Non m'immortalate", diceva il suo canto,  
"non mi sbandierate", gridava il suo pianto
Nel pane c'è il corpo, nel vino c'è il sangue.
Che Dio ci perdoni, se stiamo pregando
col libro in una mano, la bomba nell'altra...

"Abbiamo un libro, una religione. 
Abbiamo il fuoco, abbiamo ragione.
Saremo più grandi, saremo più uniti,  
saremo più forti di chi ci ha colpiti..."

Col libro in una mano, la bomba nell'altra

2010

Il 2010. Cifra impensabile solo a vederla scritta...
Noi siamo sempre qui, in un mondo ancora in piedi, nonostante tutto, su una terra così distante da quella che immaginavamo, soltanto pochi anni fa, nelle puntate di Spazio 1999.
La Terra è ancora, almeno apparentemente, di proprietà del genere umano che, giorno dopo giorno, nel tentativo egoista e disperato di tenersela stretta, lentamente la distrugge.
Eppure non c'è film di nessun ameno regista visionario, non c'è romanzo del più fervido scrittore di fantascienza nè scritto di alcun profeta dell'ultimo millennio che riesca ad immaginare quello che la realtà può riservarci.
E' per questo che la Terra - nonostante gli esseri umani - è ancora al suo posto.
E noi siamo qui, come bambini attoniti che a bocca aperta la guardano da sotto, a cercare di scoprire, ancora per un altro anno, come sarà in grado di stupirci. La nostra Madre Terra.
top