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Vivere

Oggi ho ripreso contatto con il mondo.
Un'ora davanti al mare, un cielo terso e un'acqua limpida da far commuovere.
Solo una camicia addosso e il sole sulla pelle, negli occhi gente serena, bambini, cani che si muovono senza fretta.
Tepore, suoni lievi, tanta luce e aria piena di aria.
Un tocco leggero al marmo e alla pietra che mi separano da quel che resta di mio padre e di un giovane amico che non abbraccio più da più di vent'anni e via, verso una distesa di blu che mi riconcilia con la vita. E poi si torna a casa.
Con la voglia di uscirne e venire da te, oppure andare altrove, ma vivere. Solo questo.
Vivere.

Carpe diem

Rientro in una delle categorie professionali obbligate ai corsi di formazione, pena l'esclusione dall'Albo.
A dire il vero, per salvarsi dall'estromissione sono sufficienti quindici crediti l'anno, per tre consecutivi, che vengono facilmente attibuiti dopo solo poche ore di corsi, seminari, workshop gratuiti che l'Ordine organizza in tutta Italia.
Partecipo con curiosità agli eventi, senza rientrare nella categoria dei colleghi che si siede all'ultima fila e passa quattro ore consecutive a chattare su Facebook in attesa che suoni la campanella e si possa finalmente mettere la firma per ottenere i sudatissimi crediti. Sono lì, tanto vale che ascolti.
Ne ho già seguiti alcuni di questi eventi. Se non da un punto di vista formativo, valgono almeno come spunto per farti venire dei dubbi. I dubbi sono sempre bene accetti. Non che io non abbia bisogno di "formazione", per carità, è solo che i famigerati "corsi" sono talmente brevi, rapidi e concisi che non possono non essere superficiali. E la superficialità, a me, indigna. Anche se è gratis.

Roma, sabato mattina, Teatro Argentina.
Mi sono iscritta ad un evento dal titolo "Raccontare lo spettacolo dal vivo. Linee guida per una deontologia nella critica di oggi". Finalmente un argomento che mi interessa. Dopo 20 minuti di fila per l'accredito assisto ad una prima parte - quella prima della sacrosanta, intoccabile "pausa caffè" - dove si parla di critica teatrale, tra colleghi che si occupano da sempre di teatro sulla carta stampata, sul web, sulle reti Rai, radio e televisive. Teatro, teatro, teatro. Testate di critica teatrale on-line, giovani imprenditori che scrivono per amore verso il teatro, giornalisti della rete che formano altri giornalisti a diventare professionalmente disoccupati, come loro. Anzi, mi correggo, occupati, ma non retribuiti. Interessanti le esperienze, numerosi gli spunti, desolanti la prospettive. Tanto che sembra che i pochi colleghi che ancora vengono pagati per fare questo mestiere se ne vergognino, contrariamente a tutti quelli che vanno decisamente orgogliosi delle loro prestazioni non retribuite.
E si parla di come sfruttare un'idea vincente, dare seguito ad un'intuizione felice, adeguarsi alle richieste dei numerosi e mutevoli fruitori online e godere del successo del momento, nel caso in cui si riesca a dare il servizio giusto, all'utente giusto, al momento giusto. Finchè dura.
Carpe diem.

Eventi del genere mi incuriosiscono. Ma quando sono perplessa il mio entusiasmo scema.
Così non chiedo nulla a nessuno, e aspetto con ansia  il "secondo atto" in cui però, come già scritto nell'ipotesi, viene solo confermata la tesi. Anche nella seconda parte dell'incontro si parla esclusivamente di teatro. Solo di teatro. Mah...
Rileggo con più attenzione il foglio dell'accredito. C'è proprio scritto "Raccontare lo spettacolo dal vivo". Cerco parole come teatro, teatrale, palcoscenico o qualsiasi altro termine che giustifichi il tema unico, ma non trovo niente.
Si approssima la fine dell'evento. Io non ho voglia di fare domande, l'ho già detto, quando sono perplessa e delusa mi mancano le parole. Ma com'è, però, che non viene in mente a nessuno di chiedere perché non si parla di altro? Come si può non parlare di musica? E di televisione? E, perché no, del balletto, del circo, dell'arte di strada...
Invece no. Fino alla fine, la critica teatrale dimostra con liquida sufficienza di bastare a se stessa senza nemmeno porsi il problema dell'esistenza di altro. Senza farsi venire il dubbio che possa esistere una fetta di colleghi che nella vita sono stati critici di altro.

Delusa e poco soddisfatta dopo quattro ore di chiacchere monotematiche, prima di lasciare il teatro vado a cercare la toilette. Cerco la sagoma femminile per individuare la porta giusta e mi metto in fila, anche lì davanti. Ma non posso fare a meno di guardare l'adesivo incollato sotto la silhouette della donnina. Incrocio lo sguardo di una collega: entrambi incredule (sarà uno scherzo?), condividiamo il primo e forse unico sorriso largo della grigia mattinata.

Complimenti alla fantasia del bravo massaggiatore che invita le signore a cogliere al volo le gioie dell'oggi.
Complimenti a chi, in un prestigioso teatro della Capitale, ha pensato fosse sufficiente limitarsi a cancellare i numeri telefonici invece di rimuovere prontamente l'adesivo.
Complimenti a chi ha dato il nome all'evento odierno.
Roma, 29.11.2014 - Teatro Argentina

Nano Nano

Il mondo dello spettacolo è permeato da enormi finzioni. Occasionalmente, però, c'è qualcosa di molto vero. 
Come quello sguardo che ho incrociato e raccolto tanti anni fa, in una conferenza stampa anomala, tra un fuoco di fila di battute, non tutte esilaranti, ma inarrestabili e infinite, a cui non potevi resistere anche se non le capivi fino in fondo. Perchè non petevi resistere a lui.
Quello sguardo silente mi parlava di timidezza, di umiltà, ma soprattutto di fame di complicità.
Strano.
Forse non ne ha trovata a sufficienza nella vita.
Forse voleva solo riposarsi un po'.
Ha dato così tanto.
Peccato perdere quella voglia di dare agli altri. Peccato.

Margherite

Nella vita ho sempre seguito il cuore. Non che la testa non funzionasse, ma ascoltavo sempre lui per primo.
Tutto sommato, m'ha sempre detto bene.
Fino ad un certo punto, in cui ho cominciato a comportarmi da adulta.
Forse lo sono diventata, ma non so se m'è convenuto granché.

A questo punto ho due possibilità: fare marcia indietro e tornare a fare apparenti scemenze, accettando ancora di prendere in faccia quello che porta il vento, oppure continuare sulla strada della razionalità.
Sceglierei la seconda, se non fossi così triste nel farlo.
Potrei vivere a metà strada, ma non mi viene.
Potrei tentare di stare in bilico, come fanno gli equilibristi di mezzo mondo.

Chi l'ha detto che crescendo s'impara?
Adesso basta sangue...


Henna - Lucio Dalla

Essere con Vasco


Ci sono concerti che senti con le orecchie. Poi ci sono quelli che senti col cuore.
A vedere Vasco Rossi ieri sera ci sono andata per curiosità ma anche per piacere, convinta, nel profondo, di dovergli comunque qualcosa. E lontana anni luce dagli accrediti - stampa e non - ho comprato il biglietto.
Non sono, per natura, né seguace né fan di nessuno, ma la musica buona e fatta bene mi piace tutta. E la sua musica, anche se non ho mai comprato i suoi dischi, non può non piacermi.
Vasco è come Lucio Dalla, ce l'hai dentro da sempre, anche se non te ne rendi conto.

Io, dentro, ce l'ho eccome. E ho voglia di andare a sentirlo, nonostante tutto.
Nonostante il volume di un concerto allo stadio, così tremendamente alto da non farti apprezzare armonie o parole. Nonostante il prezzo del biglietto sul prato, da fan di lusso. Nonostante i tappi delle bottigliette di plastica svitati prima di entrare e quelle di vetro (chiuse) vendute dentro. Nonostante il parcheggio dell'auto a due chilometri di distanza.

Così vado. Lo sento. Non tanto con le orecchie, come dicevo, ma con il cuore, con il corpo e pure col cervello. Perché quello che Vasco ha scritto non ha bisogno di giudizi e commenti. Perché la sua personalità stende, molto più dei decibel delle chitarre che lo accompagnano. Perché gli vuoi bene per quello che è, roba nostra. Roba unica.
"Adesso vorrei fare un discorso..." esordisce ad un tratto. Poi va verso il pubblico e dice: "Invece no". E se ne va.
Come fai a non amarlo.

Resisto due ore, lasciandomi andare al prato ogni tanto, e poi risorgendo. Perché anche se non vedo tanto e non sento bene, voglio essere lì, fino in fondo. Voglio arrivare ai bis, ai pezzi in cui l'onda sonora dovrà arrivare con meno forza e con più penetrazione. E finalmente riesco ad apprezzare qualche accordo, qualche parola dei suoi testi, essenziali e profondi.

Ci sono stata. Fino all'ultimo. Una specie di miracolo per me.
La scaletta, se volete, ve la ripeto.


Musica senza fine



Ventidue e trentacinque.
La pillola non l'ho presa ancora, ma il cuore è tranquillo, batte nel verso giusto, il verso che porta a te.
Non conosco la meta del mio viaggio, ma è così bello viaggiare che non vorrei mai fermarmi, e infatti non hanno mai tregua le mie dita sulla tastiera, che scrivono e pensano, pensano e viaggiano, da te a me, da me a tutto quello che c'è fuori da me, vicino e lontano, soprattutto lontano, quello che non riesco a raggiungere, nemmeno con l'immaginazione, quello che fa rima con la musica che sentono le mie orecchie, fa rima con i sorrisi, le lacrime, la leggerezza, l'acqua e l'aria fresca sul viso.
Più tempo passa nei miei occhi e più è grande la voglia di respirarla e di assaggiarla tutta questa vita, di non lasciarne neanche un momento al caso.
Ma neanche uno di quei momenti, passati, presenti e che verranno, è senza note.
Tutto è musica nella testa, nel cuore e nelle mani. Per questo temo la morte. Il silenzio non fa per me.
Suona sempre amore mio, suona per me, anche quando penserai che non ti ascolterò.
Suona sempre, non fermarti mai. Suona suona suona...

Seal - Love won't let me wait

Padri


Padre è chi ama senza condizioni né riserve.
Chi fa crescere e cresce insieme ai suoi figli.
Chi trema per le sue scelte senza darlo a vedere.
Chi è capace di negare per poi concedere.
Chi infonde sempre fiducia e coraggio anche se lui non ne ha.
Padre è chi perdona, perché accettando di esserlo, ha messo in conto anche il dolore e ciò che ne consegue.

Sono fortunata, ne ho conosciuti molti di uomini così, che sanno fare da padre, in piccoli frammenti di vita o anche per anni, ad altri figli incontrati per caso lungo la strada. Senza volerlo, magari senza saperlo.
Oggi voglio ringraziarli tutti, quelli che sono e quelli che sono stati. Soprattutto per me.
Il mio, ovviamente, apre la fila...



Father, son, locked as one, in this empty room
spine against spine, yours against mine, till the warmth comes through
Remember the breakwaters down by the waves
I first found my courage knowing daddy could save
I could hold back the tide, with my dad by my side.
Dogs, plows and bows, we move through each pose, struggling in our separate ways
mantras and hymns, unfolding limbs, looking for release through the pain
and the yogi's eyes are open, looking up above, he too is dreaming of his daddy's love

with his dad by his side, got his dad by his side.
Can you recall how you took me to school, we couldn't talk much at all
It's been so many years and now these tears guess I'm still your child
Out on the moors, we take a pause, see how far we have come
You're moving quite slow, how far can we go father and son
with my dad by my side, with my dad by my side, got my dad by my side with me.


Dischi d'oro e di cartone


Sto ancora smaltendo la sbornia sanremese.
A due giorni dal termine della manifestazione ancora non riesco a parlare d'altro. E mi scappa da scrivere, perché c'è ancora chi si stupisce o viene deluso dalla presenza di certe figure al Festival. Perché?
Sanremo è una vetrina ambitissima, una delle poche, in Italia, a garantire una tale visibiltà in così pochi giorni.
Perchè un cantante famoso non dovrebbe parteciparvi? Lo vedono almeno sette/otto milioni di persone. Nei giorni successivi ne parleranno altri svariati milioni. E se fa "l'ospite" lo pagano pure, e profumatamente. Dov'è il compromesso, dov'è la vergogna di cui qualcuno parla? E anche ammesso che qualcuno, in passato, l'abbia snobbato e ora non lo faccia più, da dove viene lo stupore?
I cantanti fanno solo quello che fa ciascuno di noi: tirano acqua al proprio mulino. 

Allora penso a quando un album, per conquistare un Disco d'Oro, doveva vendere 1 milione di copie. Uno dei primi artisti italiani ad ottenerlo fu Domenico Modugno. Il suo "Nel blu dipinto di blu" ne vendette addirittura 22 di milioni...
Per carità, di canzoni come quella non se ne scrivono tutti i giorni, ma è così triste pensare che nel 2014, per ottenere il Disco d'Oro, basta venderne 25.000.

L'inguaribile crisi del mercato discografico viene tamponata tagliando, a colpi di machete, il numero di copie necessarie per conquistarlo, e annoverando, tra le copie, anche quelle digitali. Un po' come si fa per i livelli consentiti di inquinanti nell'aria. Brutta storia.
Così come aumentano i tumori e le malattie causate dallo smog, allo stesso modo la discografia si ammala sempre più, cercando di nascondere la mano con cui fuma la sigaretta che la ucciderà. Modifica i criteri per la certificazione delle vendite ma, soprattutto, produce prodotti più che mediocri - che ci somministra spudoratamente, a dosi massicce - che spesso puntano su un personaggio popolare (magari per motivi diversi da quelli artistici), su un prodotto del momento. Che come ogni moda è destinato a passare. Ma in fondo, il mercato si è solo adeguato.
Qualcuno dice che è colpa della pirateria.  Ma per piacere...
Come spesso accade, il sistema stesso è responsabile (complice di sicuro) della morte del sistema stesso.

Negli anni '80, quando i prezzi dei dischi erano alle stelle, si diceva che i costi così elevati fossero dovuti alle spese sostenute per finanziare i nuovi impianti di produzione per i nuovissimi CD. Le riviste specializzate e gli stessi negozi di dischi cominciarono a denigrare il vinile e, piano piano, giradischi, bracci e puntine divennero oggetti malvisti, innominabili e introvabili. Già...
Il Compact Disc costava la metà di un disco vinile e rendeva il doppio. Solo che costava pure il doppio.

E' stato lì, in quegli anni, che è cominciata la crisi. E, mi dispiace ammetterlo, tutto questo è accaduto per una precisa strategia, decisa proprio a tavolino. La pirateria è sopraggiunta di rincorsa, ovviamente. E c'ha inzuppato il biscotto.
Ne parlo oggi con tristezza, con una decennale nostalgia per il vinile appena lenita però dal recente accoglimento, in famiglia, di un piatto perfettamente funzionante.
Con cui suonare di nuovo dischi che non avrei mai avuto il coraggio di eliminare.

Ora devo proprio andare.
Ho Mario Del Monaco sul piatto.
Nel blu dipinto di blu - D.Modugno

#Sanremo2014, le prime due serate


Dopo due giorni di full immersion nel Festival più scontato del mondo, un po' per dovere un po' per piacere spendo qualche riga in più di quelle concesse in un tweet, dicendo innanzitutto che sono contenta di aver tenuto duro, ieri sera, fino all'arrivo delle Nuove Proposte. Devo ancora capire se mi siano piaciute perché paragonate alla mediocrità di quello che ho sentito prima o se perché in effetti valgano qualcosa. Comunque, i cosiddetti "emergenti" se la sono cavata molto meglio dei colleghi annoverati nella categoria superiore (Zibba e Diodato mi sono piaciuti molto). Tanto che, in piena notte, fantasticavo su una prossima edizione fatta solo di facce nuove. Un po' come ci auguriamo possa succedere in politica. Ma non succederà in politica, e non succederà neanche a Sanremo.

Il tentativo di risollevare le sorti della musica leggera italiana, una volta l'anno, tramite una manifestazione del genere, è penoso e triste. Tanto varrebbe stravolgerlo veramente il festival e dare più chance a chi fa fatica a farsi conoscere. Ma il mio è un suggerimento che lascia il tempo che trova. Anche perché i pochi giovani che riescono a farsi notare vengono divorati dalla famelicità delle case discografiche che li sfruttano battendo il ferro finchè è caldo e se ne fregano di curare un prodotto nuovo con l'attenzione che necessiterebbe il neonato, per farlo crescere sano e bello, invece che farlo bruciare nel giro di due album. Mi chiedo se ci sia al mondo qualcuno che condivida le mie osservazioni.

Tornando allo show e al mio lavoro, ho trovato Fazio professionale, Littizzetto noiosa; buona la regia, ottime le luci, brava l'orchestra (anche se mi sarebbe piaciuto pure vederla, così come da promessa di Forzano, che prima di iniziare gongolava per la nuova "spider-cam" con cui voleva far miracoli).
Pur apprezzando lo sforzo (si fa per dire) di alcuni artisti a partecipare ad una manifestazione che cerca, nel suo piccolo, di aiutare un paese in crisi e le sue finanze (ci dicono quanto costa, ma vorrei tanto sapere e nessuno mi dirà mai, quanto guadagna Sanremo), personalmente avrei evitato l'autocelebrazione di mamma Rai e del suo 60esimo compleanno. Se non altro, in serate già tanto lunghe per natura, ci saremmo evitati le cariatidi di cui, ahimè, l'Ariston pullula. Per carità, li adoro tutti, dalla Carrà a Baglioni, ma qui ho bisogno di facce nuove. E ho bisogno di quello che mi aspetto arrivi da una manifestazione canora: canzoni!

Invece noto con tristezza che delle canzoni c'è poco e niente. 
Ma nessuno scrive più canzoni? Quelle che raccontavano una storia, quelle che hanno una melodia che ti resta in mente per decenni, quelle che rendono la musica insostituibile?
In due giorni ho sentito un mucchio di note e un mucchio di parole che sembravano essere state buttate a forza nel sacchetto dello Scarabeo per poi essere ripescate a caso, nel tentativo di formare qualcosa di senso compiuto.

Se non ho niente da dire, io non scrivo. Gradirei la stessa accortezza da parte degli altri. Così non è.
E allora ci becchiamo quello che c'è. Che almeno fa guadagnare a qualcuno, nella peggiore delle ipotesi, qualche migliaio di euro di Siae.
Peccato per la musica. Peccato per l'Italia. Peccato per tutti noi.  
© Caterina Somma

Felicità



Cosa vuoi?
Vivere
Cosa ti piace?
Piacere
Chi vuoi?
Chi mi vuole veramente
Non ti importa chi?
Importa che ci sia
Come vuoi essere?
Posso essere quello che voglio, ma anche quello che vuoi
Non t'importa essere te stessa?
M'importa essere felice. Come, dove, con chi, può variare
Cosa sogni?
L'amore. Che altro?

C.S.

John Mayer - Say what you need to say

L'anno vecchio se ne va...



Inevitabile, ogni Capodanno, fare un piccolo bilancio di quello che è stato l'anno precedente. Come è ovvio che sia, c'è la fazione degli "insoddisfatti" e quella dei "grati", che dovrebbero spartirsi la torta dei doni dell'anno più o meno al cinquanta per cento. Ma vuoi per la crisi, vuoi perché è più facile e più popolare vedere il bicchiere mezzo vuoto, negli ultimi anni gli "insoddifatti" sembrano dominare la scena.
Per questo mi sono stupita, stamani, quando ho sentito un'intervista alla campionessa di fondo Valeria Straneo che, dopo l’operazione alla milza che l’ha guarita dalla sferocitosi, ha avuto una escalation rapidissima che l'ha portata ai vertici dell’atletica internazionale. Nell'intervista, la maratoneta si dichiarava (quasi imbarazzata nel farlo) strafelice dell'anno appena trascorso, per le grandi ed inaspettate soddisfazioni dal punto di vista atletico.

Io non appartengo, per default, ad una o all'altra categoria. Ma quest'anno, ahimè, anche se qualcosa di buono sempre c'è, devo schierarmi con i più. Non mi lamento, non mi piace farlo, ma se potessi li cancellerei tutti i dodici mesi del 2013. Il mio essere un po' strega l'aveva previsto il buio, facendomi affrettare a concludere tutti gli impegni più importanti entro dicembre 2012. Non so perché l'ho fatto, non c'era niente che potesse farmi supporre nulla, a parte un Giove in opposizione e un personale Saturno in dodicesima casa, quella delle prove, dalla quale non schioda da tempo (di cui però non si può parlare al mondo...), e a parte una congenita allergia verso il numero 13, in tutte le sue forme. Si chiama triscaidecafobia - l'ho imparato di recente - e trattasi di una paura del tutto immotivata, verso il suddetto numero. Oddio, immotivata poi... se ha origine da Giuda in esubero alla tavola di Cristo, tanto immotivata non mi sembra; così come non mi pare felice se nei Tarocchi la carta numero tredici è la Morte. Hai voglia a dirmi che non è una carta negativa perché rappresenta la rinascita...

Tornando al mio discorso, come stavo dicendo il 13 a me non piace affatto, e m'ha sempre dato fastidio. Come quella volta che per non averlo barrato, dopo aver girato più volte la penna sopra al suo cerchietto, ho saltato la più grossa vincita della storia al Superenalotto. Come quell'altra in cui ho comprato una casa all'interno 13 (perché non bado a queste cose, io) che m'ha dato problemi già da prima del compromesso. Non sono scaramantica, almeno non nel senso più puro del termine. Ma ho imparato, nella vita, a fidarmi del mio istinto, e a fare le cose che ritengo opportuno fare quando mi sento di farle. Finora m'ha detto bene.

Comunque... siccome nella vita io il bicchiere lo vedo quasi sempre mezzo pieno, oggi che l'anno è giunto al termine, mi va di pensare al fatto che il numero 13 è associato alla fine di un ciclo, ergo, precede nuovi inizi. [Tredici sono i mesi lunari ogni anno solare, tredici i segni dell'astrologia celtica, tredici i suoni di ogni ottava cromatica (le note di ogni ottava, comprese quelle alterate con diesis e bemolle) e sommando i primi 13 numeri si ottiene 81, ossia il numero di giorni da cui è composta ogni stagione climatica].

Insomma, ho fatto tutta 'sta caciara, pardon, tutto questo parlare, solo per dire e per dirvi che spero con tutto il cuore che il 2014 sia migliore del precedente. Sotto tutti i punti di vista. Per tutti quanti. Per ogni cosa. Per un nuovo inizio.
Auguri, auguri a tutti. 


Bianco e nero



Nei programmi postprandiali la tv ci parla della povertà degli italiani che, ahimè, nel prossimo anno, a causa dell'aumento delle tariffe, diventeranno ancora più poveri. Si prevede un esborso di circa 1.400 euro in più a famiglia. Ma tranquilli... Domani si vota il decreto Milleproroghe. Forse, nel nostro piccolo, li recuperiamo sti' 6 miliardi e rotti di euro che altrimenti andrebbero in fumo.

Allora mi vengono in mente altre cose da recuperare. Come ad esempio quegli 11 miliardi di dollari in pietre preziose che addobbano l'alberello di Nalale dell'hotel Emirates Palace di Dubai? Non che la fame nel mondo si risolva così, con due zaffiri... Però, chi ha sborsato i soldi per l'addobbo dell'abete a quattro piani, potrebbe pure dare le palline in beneficienza, dopo la Befana...
Ma manca poco a Capodanno, dobbiamo pensare positivo, lasciarci alle spalle questo schifo di 2013. Noi, da bravi romani, preferiamo buttarla in caciara...

E io?
Sono arrabbiata sì, se bevessi caffè lo sarei ancora di più, perché dal 1° gennaio sarà possibile aumentare fino al 6 per cento, anche in barba ai contratti stipulati, il prezzo del caffè dei distributori automatici.
 "Non ti smentisci mai", mi dicono, "devi sempre vedere bianco o nero, mai grigio".

Già. Il grigio mi fa schifo.
Sono sempre i sogni a dare forma al mondo
Sono sempre i sogni a dare forma al mondo, Ligabue

Waiting on the World to Change


Alzi la mano chi non ha mai avuto a che fare con i "bastoamestesso". Sono certa, è capitato a chiunque di incontrarne. Quelli che non ti trattano da pari e quelli che non gliene frega niente di trattarti, o perché si bastano, o perché si sentono talmente superiori che anche darti confidenza è troppo.
Quello che mi chiedo è se questi signori sanno che, chi gli sta di fronte, ha un solo modo di rapportarsi con loro: prenderli per i fondelli. Eh già, cari miei, per avere un qualsiasi dialogo con voi occorre solo prendervi in giro: dirvi quello che volete sentirvi dire, farvi credere di pensare quello di cui siete già convinti... Ma che noia. A me non diverte affatto.
Lascio quindi scivolare discorsi e rapporti, e spero di non avere più a che fare con questi individui ottusi ed incorreggibili.
Come si fa a non ascoltare le idee di un altro? Come si fa ad interessarsi solo al proprio simile? Come si fa a non essere incuriositi da chi è diverso da te? Io non riuscirei a vivere senza soddisfare queste curiosità, attraverso tutti i miei sensi.
Basterebbe solo ascoltare per capire... cambiare... salvarsi...

Waiting on the world to change


Human rights

Sono stanca di essere comprensiva, ragionevole, sensibile, paziente, discreta, superiore.
Sono solo un essere umano.


Quando viene dicembre






Amori & Amicizie

Errori. Se ne fanno tanti.
Ma servono per imparare, per crescere, per non sbagliare ancora.
Eppure non si è mai immuni dal pericolo di cadere in errore. Certe volte non essendo nemmeno certi di averlo commesso.
Ok, ricomincio.

Una bambina nasce, cresce, diventa una ragazzina. Gli ormoni fanno il loro dovere e ad un tratto i rapporti con le altre persone cominciano ad essere diversi, a seconda del genere con cui si ha a che fare. Si fa presto a generalizzare, a dire non è il sesso a fare la differenza. Invece è così. Da una certa età in poi, rapportarsi con persone di genere femminile o maschile non è la stessa cosa.

Io questa differenza non l'ho mai capita. Almeno non la capivo allora.
Era per questo motivo, forse, che dai coetanei maschi con i quali mi trovavo bene - spesso meglio che con le femmine - ero sempre trattata da pari. Ero trasparente, pulita, disinteressata. Ero una di loro, con attributi diversi. Ecco.
Il problema sorgeva nel momento in cui i ragazzi si accorgevano di tali attributi. Quelli che li gradivano, improvvisamente, iniziavano a comportarsi in maniera strana, cercavano di fare i simpatici, diventavano spiritosi. Quelli che non li gradivano, cominciavano a farsi venire in mente che il mio interesse per loro doveva nascondere secondi fini, i quali, anche se inestenti, mi facevano diventare fastidiosa, persona da scansare. E poi ce n'erano altri che li vedevano ma non li guardavano. C'erano gli amici veri.

Difficile che un uomo creda alla tua amicizia. Più facile se ci sei cresciuta insieme, più difficile se l'hai conosciuto da adulta; difficilissimo se l'uomo in questione possiede doti narcisistiche; e quasi impossibile se trattasi di gran fico.
Eppure è così semplice essere amica di un uomo. Scevro da invidie e gelosie, il rapporto con un essere maschile è divertente. E' scarsamente impegnativo, non vincolante, leggero ma inossidabile. Finchè...

L'amicizia tra uomo e donna ha un limite: può interrompersi bruscamente senza che tu lo voglia.
Perché, se la fidanzata, compagna, moglie del tuo amico comincia a vederti come un pericolo, l'uomo in questione, per quieto vivere, può scegliere di sacrificare la tua compagnia. Questo tipo di comportamento, è ovvio, attiene all'intelligenza, non al sesso delle persone, ma accade tante di quelle volte che statisticamente la cosa diventa rilevante. La fidanzata di turno ti odia. E lui si defila. Prima o poi, però, torna. Anche questo è successo così tante volte da essere rilevante. Perché le fidanzate passano, le vere amiche restano. E lui, con un sorriso smagliante immutabile nei decenni, si riaffaccia nella tua vita, in cerca di quell'affetto sincero che gli hai sempre regalato senza chiedere certezze nè garanzie.

La soddisfazione c'è, ma si paga. Si paga, talvolta, con prezzo dell'impopolarità, perché nessuno crede alla tua buona fede. Si paga con il rischio di perderlo ancora, il tuo amico. Perché qualche figura femminile più importante, prima o poi, prende il sopravvento. Per un anno, cinque o trenta.
E tu, da un giorno all'altro, non puoi più dare nè ricevere. E allora ti domandi, ti arrovelli, per capire se la colpa è di qualcuno, di qualcosa, o magari proprio tua, perchè sei stata troppo invadente, troppo presente, troppo qualcosa. Inutile farlo, tanto una risposta non c'è quasi mai.

Errori? Se ne fanno tanti.
Ma aver dato e continuare a dare affetto non è mai un errore.


Stupidi

Ogni adulto ha delle certezze. Poche, ma ne ha.
E' certo di dover fare sacrifici per ottenere le cose (ma comunque sa che esistono lotterie o grandi fratelli che, a qualcuno, danno una mano).
E' certo dell'affetto dei genitori (ma su questo, dopo aver capito che non sono immortali, non può contare per sempre).
E' certo dell'importanza di alcuni valori (ma spesso può metterli da parte, per convenienza temporanea, tanto si fa presto a riportarli in auge una volta autoassoltisi dai propri peccati).
Meglio affermare che ogni adulto crede di avere delle certezze.

Io non ne ho mai avute, a dire il vero. Ho sempre creduto che "volere" significasse "potere". E questo è anche vero, fino a un certo punto.
Io non ne ho mai avute di certezze, dicevo, fino ad un certo giorno.
Una calda sera d'estate, in risposta ad uno dei tanti attacchi subdoli da parte di gente senza cervello e senza attributi, ho capito di averne una. Una sola, enorme, certezza: quella di aver capito che il mondo si divide in due sole, uniche, macro categorie: stupidi e non.

Stupidi, sì, perché stupido è la parola perfetta che riassume esattamente una persona che non capisce. Che non impara dai propri errori. Che non comprende che il suo bene è strettamente connesso a quello degli altri, e che ogni azione egoistica, nel senso riflessivo del termine, prima o poi, gli si ritorce contro. E fa male. A tutti. A tutto.

Non è per smentire la mamma di Forrest Gump, che aveva saggiamente istruito il figlio spiegandogli che "stupido è chi lo stupido fa". La signora Gump aveva senz'altro ragione. C'è chi si comporta da stupido, di tanto in tanto, e chi invece fa finta di esserlo.
Ma, putroppo, c'è una grande quantità di gente che stupida lo è davvero. Di nascita. Per carenza, insensibilità, incapacità. E non ha nemmeno speranza di salvarsi dalla sua stupidità, perché di essa si nutre, si pasce e gode. Spesso insieme ai suoi simili.

A parer mio, tra gli esseri umani non esiste nessuna altra differenza degna di nota al di fuori di quella sopra descritta. Ogni distinzione, etichetta, categoria - al di là della funzione anagrafica - è opinabile, contestabile, aleatoria. Dal punto di vista psicologico non ha nessun senso distinguere la persone dalla razza, dal sesso, dalla lingua, dal credo.
Non sono le differenze a creare scompiglio. La differenza è ricchezza.
Quello che crea disastri è sempre e solo la stupidità. Dote trasversale, che colpisce tutti, poveri, ricchi e potenti, quelli che fanno più danno di tutti.

E' per colpa di esseri stupidi se si fanno le guerre. E' per colpa degli stupidi se esiste il terzo mondo. E' sempre per colpa di gente stupida se la terra in cui viviamo soffre e muore.
Stupidi, perché non sanno vedere oltre. Perché non hanno capito che fare del male agli altri significa farlo a se stessi. Perché non capiscono che far inaridire il giardino del vicino significa perdere qualcosa di bello da vedere oltre lo steccato. Perchè non si rendono conto che la coscienza sporca non si pulisce con il volontariato.

Un signore, duemila anni fa, ha cercato in tutti i modi di spiegarlo. Non c'è riuscito lui, non pretendo di farlo io.

La mia certezza, è ovvio, è condivisibile o meno. E forse non è nemmeno una certezza da mettere in piazza. Ma sono un essere umano anch'io e la mia dose di stupidità, stasera, mi ha detto di farlo.
Ognuno ha le sue certezze. Sarei lieta di poterne comprendere altre, di altri.
Per quanto riguarda questa, visto che è l'unica, vogliate perdonarmela.

Una speranza di nome Francesco


Ieri mattina, per le vie del mercato rionale di Testaccio, il pescivendolo commentava il brutto tempo e la mancanza di acquirenti aggiungendo "Semo pure senza Papa...". In effetti, siamo tutti un po' orfani senza di lui, a Roma un po' di più. Qui, non se ne può fare a meno.
Ma perché c'è tanto "bisogno di Papa"?

Sarà che sono in un momento delicato della mia vita, sarà che fondamentalmente sono cattolica, ma io quest'elezione la aspettavo con ansia. La sede vacante, con un emerito in pantofole che aspetta il suo successore, mi faceva strano.
Come tanta gente, anch'io ho guardato in diretta il comignolo della stufa della Sistina, per poter finalmente veder uscire quel fumo bianco. E ho gioito, come tanti, quando è stato certo che il colore fosse quello giusto. In questi momenti, un cattolico non può pensare ai crimini della Chiesa, ai preti pedofili, ai segreti di Stato. Non dimentica, no, ma il suo pensiero non può essere lì. Non può.

Un cattolico guarda gli occhi del nuovo arrivato, osserva il suo viso, il mondo di gesticolare, il tono della sua voce. Cerca di cogliere e condividere l'accenno di un sorriso, di scorgere esitazioni e paure.
Pensa alla speranza di avere un padre nuovo, buono, onesto, che sia di conforto ma soprattutto di esempio. Perché la Chiesa, come l'umanità, è fatta di uomini. E l'uomo buono, che cerca con l'esempio di riformare un sistema marcio, non può essere paragonato a chi, i crimini, li ha commessi in prima persona.
Sì, è ovvio, credo nel perdono dei peccati. Ammesso che ci sia un sano pentimento. Ma non so se riuscirei a perdonare veramente chi, per questioni di potere, cammina sopra i diritti degli altri.
Eppure, da ottimista, penso che un sistema marcio possa riformarsi più dal di dentro che da fuori. Più facendo parte di quel sistema, in maniera attiva, che criticando, passivamente, dall'esterno.
Se ognuno di noi lo facesse, nel suo infinitamente piccolo orticello...

E intanto vivo, penso, leggo.
Così su internet, dai giornali e dalla bocca della gente, vedo e ascolto tante voci diverse.
I sensazionalisti parlano della presunta collusione di Bergoglio con la dittatura argentina, del suo modo agire politico tra i politici. Ma sono già stati smentiti, e a farlo sono noti esponenti anticlericali. Se lo dicono loro. Qualcuno lamenta la provenienza del papa da uno degli stati più misogeni e antianimalisti del mondo. Ma lui rifiuta la stola d'ermellino. C'è poi chi estrapola frasi incredibili dai discorsi dell'arcivescovo di Buenos Aires, come "Le donne sono naturalmente inadatte per compiti politici." Su Facebook ci si chiede se l'abbia detto veramente. Prima o poi lo sapremo. A qualcuno non sembra un papa "stabile", e ironizza "Bergoglio zoppica vistosamente. Dio a Scola: 'Scaldati!'". 
Ma c'è tanta gente, la maggioranza, che ha visto qualcosa di buono negli occhi del nuovo arrivato, nei suoi gesti così poco solenni, nelle sue parole semplici, dirette, emozionate. Qualcuno dice che "Francesco spacca", che "è un genio", che "emana una bella luce", che "somiglia ad Albino Luciani" (il che non può non essere di buon auspicio). Qualcuno, lo riporto per dovere di cronaca, vede in lui il "Papa Nero" di Malachia. Non d'aspetto, ma di toga... (quella dei gesuiti). Che sia davvero lui l'ultimo papa? 

Torniamo ai fatti. 
Fino ad ora, Bergoglio ha vissuto in un piccolo appartamento, ha sempre utilizzato i mezzi pubblici per gli spostamenti. La sua sobrietà è leggendaria. E comunque, durante la dittatura argentina, salvò preti e laici. L'ha fatto.
Di primo acchito, Francesco appare ai più un essere umile, gentile, sensibile. Anche se, innegabilmente, l'unico aggettivo che mi viene in mente dopo aver sentito il nome pontificale che ha scelto, è: furbo. Ma non è una colpa esserlo, semmai un merito.

Francesco. Un nome, un programma.
Perché tutti - in questo momento storico ancora di più - abbiamo bisogno di spogliarci del superfluo.  
Perché il mondo, per la sua salvezza, ha necessità di distribuire equamente le proprie ricchezze.
Perché sulla terra, per sopravvivere, uomini, donne e animali devono riuscire a parlare la stessa lingua.
Magari fosse vera l'intenzione di seguire la strada del santo.

Sarà la storia, come sempre, a dire chi aveva ragione.

© Caterina Somma - Tutti i diritti riservati

Cronaca di un distacco telefonico


Qualche anno fa
Io, che da sempre lavoro con i computer, apprendo con gioia che la Telecom ha finalmente predisposto un servizio di gestione della linea telefonica on line. E con il sollievo che accompagna sempre le notizie che ti semplificano la vita, mi affretto ad iscrivermi nell'area clienti della compagnia telefonica. Qualche dato, user name e password e voilà, il gioco è fatto. Almeno sembra fatto.
Perché, io che lavoro da sempre con i computer, lavoro con un Mac. L'editoria, come il mondo della grafica e della musica, usa Mac, e non per snobbismo. Certo, la maggior parte degli utenti, in Italia, usa il Pc... Che faccio, reclamo? Mah, forse non vale la pena. Comunque la mia segnazione la faccio lo stesso.
"Sì, lo so, signora, con i Mac il servizio dà dei problemi", risponde l'operatore. E meno male che la compagnia si occupa di telecomunicazioni! Per pagare le bollette del telefono online devo andare in un call-center. Faccio fatica, ma almeno contribuisco alla salute del pianeta. Finché...

Un anno fa
Nonostante le mie segnalazioni, il 187 on-line continua a funzionare solo per Pc. Allora, pur essendo un'ecologista e anche volendo con tutta me stessa risparmiare la foresta amazzonica, torno al cartaceo. A malincuore, chiedo che le bollette mi vengano di nuovo recapitate alla vecchia maniera, ossia tramite servizio postale. Ma, dopo un paio di invii, Poste Italiane sembra dimenticare il mio indirizzo... COMINCIO A NON RICEVERE PIU' BOLLETTE PER POSTA (ma solo da Telecom, perchè l'altra posta arriva correttamente).
Per fortuna, tramite e-mail, mi arriva comunque la segnalazione di emissione della bolletta. Così, in un modo o nell'altro, vengo a sapere che è stata emessa e riesco a pagarla on line. Dal mio computer, il cui hard disk è stato partizionato per avviarsi anche in modalità Windows...

Due mesi fa
Faccio il numero di casa. Libero, ma nessuno risponde. Strano. In casa c'è qualcuno, lo so, che poco dopo mi chiama dal cellulare. Torno a casa, verifico di persona che il telefono non funziona. Chiamo il 187, e l'operatore mi dice che l'utenza è stata sospesa per morosità. Mi sono scordata di pagarla? Può essere. Se non ti arriva mai nessuna comunicazione, può anche essere che te ne scordi.
"Signora, lo so - mi dice laconicamente l'operatore Telecom - tutta Italia lamenta di non ricevere più le bollette, deve fare un reclamo a Poste Italiane"
Ma perché? Fatelo voi! Chi me lo paga il tempo perso per andare a fare reclami? E così otterrò di nuovo la mia linea? No. E che ti staccano la linea dopo la prima fattura non pagata?
"Signora, ma perché utilizza la domiciliazione bancaria?"
La risposta non sarebbe semplice e brutale come quella che mi viene in mente, così, sforzandomi di essere gentile, rispondo che preferisco fare così, per tenere la spesa sotto controllo. Vado in posta a pagare un bollettino in bianco con l'importo da saldare. Aspetto qualche giorno. Niente da fare Riprovo a chiamarmi da fuori. Un disco mi risponde, dispiaciuto, che il numero da me composto è inesistente. Sarà un contatto. Rifaccio il numero. Il disco, imperterrito, ripete lo stesso messaggio. Sarà un guasto. Richiamo il servizio clienti per segnalarlo.
"Verrà ricontattata entro 24 ore".

Due giorni fa
Passa una settimana. Nessuno si è fatto vivo. Nell'ennesima chiamata al 187 sono un po' meno gentile...
"Per forza non la chiama nessuno signora, non c'è nessun guasto, l'utenza è stata sospesa". Perché? "Non lo so signora, controllo.... Signora, mi scuso per l'attesa, qui mi dice che l'utenza è stata cessata". PERCHE'?
"Non so, signora, a me risulta che i pagamenti sono tuti regolari. Forse l'ha chiesto lei?".
Rispiego tutto daccapo.
La mia scelta iniziale di sospendere il cartaceo. La mia scelta successiva di tornarci. La mancanza totale di bollette di carta e la mia rassegnazione a non ricevere più niente da Telecom. Nel frattempo l'operatrice trova qualcosa e mi dice che, circa un mese fa, Telecom mi ha inviato una raccomandata di rimborso. Di che? Del canone che avevo già pagato in anticipo.
"Ancora non ha ricevuto il rimborso signora?"
NON RICEVO MAI NULLA PER POSTA DA TELECOM DA MESI!!!
Ribadisco il concetto, stavolta mi viene un po' da ridere.
"Allora signora, ho parlato con il mio superiore, mi ha detto che è chiaro che Telecom ha commesso un errore. Entro 48 ore riceverà una telefonata sul cellulare che le dirà che la linea è stata ripristinata. E poi, certamente, oltre al rimborso delle spese per un servizio che non ha potuto utilizzare da mesi, riceverà delle scuse scritte da parte di Telecom"...
Scritte? 
La promessa è esilarante, verrebbe da piangere...
Invece, prima di riagganciare, condivido con l'operatrice telefonica una risata fragorosa.



Asteroidi nel tempo

Nessun asteroide entrerà in contatto con la terra.
Sono affermazioni come questa a farmi tremare. Come quelle del capo della Protezione Civile, quando afferma che lo sciame sismico è sotto controllo, e la gente può tornare a dormire sotto le lenzuola.
Temo, come ho tremato sabato sera sulla sedia di legno a dondolo, illusa che il tremore fosse dovuto al gatto che giocava sotto ai miei piedi, confortata dall'apparente immobilismo del lampadario sulla mia testa.
La scossetta di terremoto, due giorni dopo l'asteroide e sei giorni dopo l'annuncio delle dimissioni del Papa, sta a lì a ricordare le nostre fragilità, l'inconsistenza delle nostre esistenze, la forza della natura che, se deve manifestarsi, lo fa pure mentre sul palco dell'Ariston si stanno contendendo la vittoria del Festival di Sanremo.
Ed è pura coincidenza - ci dicono - se il meteorite che ha fatto sfracelli in Russia sia caduto il giorno in cui era previsto il transito dell'asteroide tenuto d'occhio da tempo.
La natura fa il suo corso, pure se manca solo qualche giorno alle elezioni politiche. Con rassegnata accettazione ne prendiamo atto.
Questo però non vuol dire che con la stessa rassegnazione siamo obbligati a subire tutto quello che ci passa accanto o ci viene imposto, specie se da altri esseri umani. Nasce ogni tanto qualcuno che ce lo ricorda.
Oggi, nel 1600, anche sul rogo Giordano Bruno continuava a sperare "verrà un giorno che l'uomo si sveglierà dall'oblio e finalmente comprenderà chi è veramente e a chi ha ceduto le redini della sua esistenza, a una mente fallace, menzognera, che lo rende e lo tiene schiavo...".
Ma la conosceva, Bruno, questa classe politica? Forse sì. "L'uomo non ha limiti e quando un giorno se ne renderà conto, sarà libero anche qui in questo mondo", disse anche.
Caro Giordano (perdoni il mio affettuoso appellativo), il risveglio delle coscienze, ciclicamente, c'è stato e c'è.
Ma dopo ogni rivoluzione, va a sbattere inevitabilmente contro il muro degli interessi personali; di fronte ai quali, i limiti umani tornano a manifestarsi in tutto il loro cinico e drammatico splendore.
Che resta? Il libero arbitrio.
© Caterina Somma - Tutti i diritti riservati
Asteroids in the Distance
Image Credit: R. Evans & K. Stapelfeldt (JPL), WFPC2, HST, NASA

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