Volume non è potenza, abbondanza non è piacere


Le basse frequenze sono il mio pane quotidiano, perché mi piace sentirle nella pancia da sempre, perchè ho sposato più di cent'anni fa chi si esprime per loro tramite. Non mi spaventa quindi il suono che fa vibrare il corpo fisicamente oltre che emotivamente.

La premessa non è sufficiente a spiegare il mio commento, aggiungerò quindi il ricordo di quella "zona rossa" che fin dagli anni '70 ti insegnavano a non raggiungere se volevi avere una perfetta registrazione audio con i primi strumenti analogici. Una musicassetta che superava detti limiti era irrimediabilmente da buttare, inutile, inascoltabile.
Chiedo allora con umile preghiera, ai signori che si occupano della diffusione audio nei concerti di musica italiana, di ricordare tale semplice insegnamento, tenendo presente che la saturazione del suono avviene, prima che negli strumenti, nell'orecchio umano.

Oltre un certo limite non si sente meglio: non si sente proprio.

Tant'è che ti viene in mente che ci sia qualcuno che lo faccia di proposito: se non si riesce a percepire le note buone non si riesce nemmeno ad individuare quelle meno buone. Senza essere necessariamente cattivi, la verità è che in genere, parlando di suono, in Italia spesso si confonde il volume con la potenza (ovviamente c'è qualche rara eccezione.... ma chi gode della mia stima già sa).

Rammento il concetto: potente è un accordo giusto, un'armonia rispettata, una voce presente, un'equalizzazione bilanciata.
E rammento pure che il pubblico non è così cretino. E a certi spettacoli assiste per affetto verso cantanti e cantautori che hanno partecipato alla colonna sonora della propria vita, non perché si aspetti di assistere ad uno spettacolo indimenticabile.
 
Personalmente soffro. Vado, gioisco di qualcosa, ma la maggior parte del tempo soffro.
Mi limito a porre attenzione ai quei brevi momenti acustici che temo vengano inseriti in scaletta più per far rifiatare l'orchestra che per far godere il popolo. Che sono gradevoli anche perché scevri dall'abbondanza delle sovrapposizioni tra voci e strumenti, tipici dei ridondanti arrangiamenti di tanta musica pop nostrana, che rendono il ragù sulla pasta talmente unto da non riuscire più ad apprezzare il sapore della carne. Ma questa è un'altra storia... 

Peccato che sia così, in un paese che ha fatto dell'arte il suo vanto per secoli e secoli. E peccato si debba sempre far riferimento ai concerti anglosassosi - in cui tutto è chiaro, tutto evidente, dalla semplicità dell'espressione ai virtuosismi - quando si vuole portare ad esempio un concerto magnifico.

Semplimente perchè il volume della diffusione è più basso. Non perché i musicisti stranieri suonino meglio.


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