Genitori e guerre mondiali


Noi genitori che dopo due anni di segregazione, attoniti, guardiamo i nostri figli e non sappiamo come spiegar loro quello che succede. Noi che con la pandemia pensavamo di aver assistito a qualcosa che non sarebbe mai potuto accadere. Noi che credevamo bastasse ricordare ogni anno nelle scuole gli orrori della guerra affinché non si ripetessero più. Noi che non troviamo più parole per giustificare il ripetersi di tali eventi. Noi, cosiddetti adulti, che dovremmo dare l'esempio alle nuove generazioni che non si fidano più di noi e ci accusano di parlare a vanvera e di non fare mai i fatti. Noi che non sappiamo se l'aria di domani per i nostri figli sarà respirabile e non sappiamo nemmeno se verrà un domani. Noi cosiddetti grandi, disperati, che non abbiamo più una bussola su cui orientarci per non far perdere la bussola ai nostri figli.
Dove troveremo occhi per vedere il cammino e parole per motivare le nostre ragioni. E per dire quello che non capiamo più.

 

La Gioia

E meno male. Ho visto quello che volevo vedere da tempo. Al di là della violenza che si è acuita nelle persone con scarso equilibrio, che hanno vissuto la pandemia in modo repressivo e punitivo, quello che speravo e credevo si sta verificando. Sono i giovani a farlo. Sono loro che con grinta e follia hanno capito come gestire l’eccesso di energia e convogliarlo, finalmente, in qualcosa di positivo. Lo hanno sempre fatto? No. Generazioni precedenti che l’hanno usato per protesta, per distruggersi, punirsi, combattere una società che non gli corrispondeva, credendo di doverla urlare più forte la loro rabbia per farsi sentire, giustificando a tal fine anche la violenza.
Ma i ragazzi di oggi no. Un secolo di storia forse gli ha insegnato qualcosa.
Hanno imparato che i confini non esistono. Che il diverso è ciascuno di noi. Che non c’è interesse personale senza interesse globale. Ma soprattutto hanno recuperato una cosa che sembrava scomparsa negli ultimi decenni, qualcosa di cui pochi sapevano già l’importanza e la potenza: la gioia.
L’ho vista, l’abbiamo vista tutti in questi giorni, negli sguardi attoniti di chi si stupisce di raccogliere un successo, nell’esultanza di chi non esita ad abbracciarsi e piangere senza aver paura di tradire un sentimento. In chi guarda la medaglia con orgoglio e mai si sogna di togliersela dal collo. In chi canta con la bandiera negli occhi che non è un vessillo di parte ma un motivo d’orgoglio e la memoria degli sbagli. Negli artisti che mettono a disposizione di tutti le loro doti. L’ho vista nell’unica espressione costruttiva che può avere l’energia incanalata, pura, cosciente, usata e sfruttata senza esitazione nell’unico verso possibile per la vittoria e la rinascita.
Spero di vederla davvero la rinascita del mondo, grazie ai giovani, chi altri sennò. Quella definitiva, che lascia a margine tutto quello che abbiamo capito che non paga. Se così sarà, l’onda d’urto sarà in grado di trascinare anche quelle che finalmente diventeranno le minoranze, quelli che non credono, non sperano, non sognano. Che un giorno non ci saranno più, perché saranno accolti, compresi e amati, per quelli che sono.
Ragazzi belli, dategliela una lezione a chi non sa mettersi in gioco, a chi sceglie la comodità invece dell’impegno, a chi ha vissuto tutta la vita all’ombra, a chi si nasconde dietro gli errori di altri, a chi crede che basti un virus mortale per fermare l’evoluzione. Tutto va. Avanti mai indietro. E non c’è futuro per chi non se ne accorge. 




Io sto coi miei

E il vaccino, e la cura, e le prospettive. E i negazionisti, e i no-vax, e quelli che la scienza è sacra. E quelli che magari fossi il primo e quelli che sperano di essere gli ultimi. E i dpcm, e le zone a semaforo, e i banchi a rotelle, e abbasso la moneta. E quelli che ho paura di essere tracciato, e quelli ho paura di essere obbligato. E le percentuali di malati e di morti, e le percentuali di chi se l'è fracassate o di chi s'è già buttato sotto a un treno. Di quelli che hanno perso il lavoro, e di quelli che sanno che non lo ritroveranno più. E quelli che si arrabbattano in rete e sorridono sempre e comunque, che poi quando si spegne la telecamera hanno solo un muro per sbatterci la testa. E quelli di 'che belli tutti 'sti gabbiani in città', che non si accorgono che ce ne stanno tanti perché nelle strade c'è un esercito di mondezza, la nostra, sempre troppa, sempre di più. E quelli che 'hai sentito, ha cantato la civetta', e non sentono una donna che piange. E chi cerca tra le stelle, i sassi, le nuvole. E i funerali, tanti, troppi, di chi è fortunato perchè qualcuno l'ha toccato prima di morire. E tutti gli abbracci che mancano, tutta la fiducia che s'è persa, tutta la speranza che non si trova più. E quelli che chi se ne frega e chi se ne frega troppo, e stanno tutti male, belli e brutti, grassi e magri, malati che non si possono curare, sani che si chiedono se è vero che lo sono davvero e per quanto ci resteranno. E chi pulisce, e chi sporca, chi bestemmia e chi prega. Chi ammette che pensava che le torri fossero l'apice della tragedia, chi pensa che il proprio gatto sia l'extraterrestre che controlla lo sfacelo della razza umana. Chi darebbe oro per due salti in discoteca, chi pagherebbe per fare due bracciate, chi non fa altro che urlare ai quattro venti che la musica dal vivo è un affetto stabile. E manca, come manca tutto quello che serve, quello che serve davvero. E io penso che quelli con cui ho avuto un contatto durante questo tempo sono quelli con cui vorrei avere un contatto per sempre. Quelli con cui non hai bisogno di parlare, quelli che sentono come te, quelli che stavano male già prima della pandemia, che erano in crisi già prima della crisi. Perché percepivano, intuivano, cercavano disperatamente il modo di cambiare il mondo, e se stessi. Io sto con quelli, e con quelli voglio restare, in salute e in malattia, finchè destino non ci separi. E non ho detto morte. Quella è solo una conseguenza della vita.
La dieta la cominciò lunedì, quello nel 2021, e non è per la prova costume della prossima estate. Hai visto mai che prima o poi a qualcuno venga ancora voglia di stringermi tra le braccia. 

La propria parte


Credo che nella vita il rapporto più importante sia quello che si ha con la propria coscienza. O meglio, con il dialogo interiore che c'è tra il proprio cervello e il proprio cuore. Quello che consente di essere in pace, con se stessi, con gli altri, con il mondo in cui si vive, con la società. Molti dei miei comportamenti derivano da questo rapporto, l’unico con il quale ho a che fare quotidianamente, dove qualche volta mi assolvo, molto più spesso mi condanno, ma comunque mi metto in discussione. Quello che mi consente di prendere posizioni e decisioni, qualche volta giuste, qualche volta sbagliate. Ma prese sempre dopo un minuzioso esame. Di coscienza.

E’ vero che mangio sano e curo il mio corpo e il mio spirito e che 23 ore su 24 penso positivo, ma non ho la presunzione di credere che siano questi i motivi per cui non mi sono ammalata. Cerco di fare di tutto affinché il mio sistema immunitario funzioni bene e per avere un adeguato livello vibrazionale, credo perfino che Dio mi ami, ma fondamentalmente attribuisco il mio essere sana e ancora viva ad una mera questione di culo. Già. Questo però non mi dà l’arroganza di credere che mi andrà sempre bene e che il mio comportamento non influenzi le persone e le cose che mi circondano. Lo fa eccome.

Non indosso le mascherine perché è stato un governo ad impormele. Le indosso perché ritengo che siano una seppur minima attenzione in più verso i più fragili, a cui potrei trasmettere inconsapevolmente qualcosa, e verso gli operatori sanitari, che da mesi lavorano con questi presidi 6/8 ore al giorno tutti i giorni e non fanno una piega, indipendentemente dallo stipendio che percepiscono e incuranti dei danni che potrebbero subire, le indosso pure per rispetto nei riguard di chi non ne ha affatto per me. Non mantengo il distanziamento per ordinanza ministeriale, ma perché ritengo che sia l’unico modo per evitare la circolazione del virus. E il cielo solo sa quanto mi costi, a livello fisico, la mancanza di ossigeno, e a livello emotivo, la mancanza di abbracci e il fatto di sentire l’alito, magari anche cattivo, di un amico che mi parla ad un palmo di naso. Mi dico solo che sto facendo un sacrificio necessario. Voi non ne avete mai fatti? Perché questo vi spaventa? In una visione globale, della vita, del mondo e della storia, a me sembra anche assurdo chiamarlo sacrificio. Mascherine e distanziamento non mi fanno sentire un misantropo, non mi impediscono di avere una vita sociale, non mi impediscono di dare e ricevere amore. E soprattutto non mi fanno sentire privata di alcuna libertà. Al contrario mi sento libera di vivere e rapportarmi agli altri a testa alta e con orgoglio, quello di una persona sana che ragiona ed agisce con la propria testa. In alcuni momenti della mia esistenza con maggiore prudenza che in altri, non per questo svilita, oppressa, vittima di complotti o soggetta a manipolazioni. Di cui ho comunque consapevolezza, nei limiti di quello che la mia mente può arrivare a ipotizzare o dedurre. Corriamo il pericolo di diventare pedine o automi, in mano al potere? In certo qual modo l’umanità lo è sempre stata… Perché vi fa paura, oggi? Per quanto io mi sforzi, manifesti, mi opponga, sarò sempre manovrata da qualcuno più potente di me.

Io posso solo fare la mia parte. Che consiste nel pensare ed agire con la capacità e l’energia che mi è stata data, per quello che ritengo sia il bene di tutti. Qualche volta ubbidendo, talvolta ribellandomi, ogni tanto sovvertendo le regole imposte. E non mi ritengo così illuminata da sentire il dovere di aprire occhi e menti altrui. Credo che chiunque abbia un minimo di capacità critiche sia in grado di distinguere il bene dal male, e agire di conseguenza. Non sono uno stinco di santo. Ma differenzio i rifiuti con attenzione anche se so che qualche disonesto li riammucchia e li sotterra tutti insieme. E anche se decenni fa ho buttato il microonde perché mi faceva venire l'emicrania non vivo col terrore degli effetti del 5G (che pure ci saranno), di essere schedata (già lo siamo da tempo e siamo stati noi a volerlo) e dei microchip inseriti nei vaccini (che tanto non farò). Viviamo già in un mondo già irrimediabilmente inquinato e siamo già tutti incasellati. Non voleste esserlo, dovreste vivere in un posto sperduto, senza elettricità, acqua, senza televisori, cellulari e pc. Senza vestiti, senza riscaldamento e aria condizionata. E da soli.

Non dico che dobbiamo farci andare bene ogni cosa in nome del progresso e del benessere conquistato. Affatto. La legge non ammette ignoranza. E nemmeno io. La crudeltà, la mancanza di rispetto per gli esseri viventi e per l'ambiente, l'egoismo, la cecità derivano sempre e solo dall'ignoranza. Proprio per questo dico che l’unica arma che abbiamo per combatterla è dare l'esempio. Io non mi aspetto che lo Stato venga prima del buon senso. Non quello Stato che sa che la combustione ci soffoca ma non fa nulla per convertire velocemente fabbriche e industrie e quello che producono, lo Stato che sa che il fumo fa male ma continua a commerciare e distribuire sigarette di cui ha perfino il monopolio. Quindi…

Se non uso deodoranti in spray, non mangio coloranti e conservanti, non consumo droghe, non compro più la plastica, cerco di evitare la grande distribuzione per scansare gli imballaggi, mangio meno carne, consumo uova biologiche di galline non maltrattate, chiudo il rubinetto quando mi lavo i denti, scaldo l'acqua con i pannelli solari e ho da anni una macchina elettrica, non è per tacitarmi la coscienza.
E’ per fare la mia parte.
Che consiste anche nel dare l’esempio. Anche nello scrivere quello che scrivo.
E per esercitare il diritto di vivere in questo tempo. Coltivare i miei sogni. E magari di essere felice.

© Caterina Somma
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