Felicità



Cosa vuoi?
Vivere
Cosa ti piace?
Piacere
Chi vuoi?
Chi mi vuole veramente
Non ti importa chi?
Importa che ci sia
Come vuoi essere?
Posso essere quello che voglio, ma anche quello che vuoi
Non t'importa essere te stessa?
M'importa essere felice. Come, dove, con chi, può variare
Cosa sogni?
L'amore. Che altro?

C.S.

John Mayer - Say what you need to say

Oltre il destino


Se crediamo che sia il destino a mettersi di traverso per evitare di farci incontrare, allora potremo dire che non ci riusciremo neanche stavolta.
Promettimi che non sarà così.
Con il sole o con la pioggia, per molto o per pochissimo tempo. In auto, in treno o a piedi. Qui o là.
Basta che finisca questo tempo, quest'attesa, che comunque amo perché ci ha fatto conoscere come non mai, come forse non avremmo mai fatto se avessimo continuato a vederci.
Te lo dico convinta, e forte del fatto che so che lo vuoi anche tu. E anche perché so che il sesso c'entra poco o niente. Ce lo chiede la testa.
Poi sarà... meglio, o peggio forse. Lo scopriremo solo col tempo.
Ma t'avrò visto.
T'avrò abbracciato.
Avrò sentito la tua voce, le tue pause, le tue risate.
Di nuovo. Da nuovi.
Il cuore ha bisogno di pace. Ed io ho sempre fatto quello che voleva.
Lo devo a me stessa.
Lo devo a te.
Lo devo anche a chi amo, e mi ama perché sono così.
Vera. 

C.S.
Baby Come To Me - James Ingram ft. Patti Austin  


O(E)rrori del mio tempo


Crescendo (o invecchiando?) ci si irrigidisce, si diventa insofferenti. Forse è per questo che oggi non sopporto tante cose. O, forse, ci sono cose che risultano veramente insopportabili... Magari a tutti.

Ero ragazzina, quando sentivo gli adolescenti romani che, ogni due parole, sentivano l'esigenza di ficcarci dentro un cioè. Mio padre me lo faceva notare, divertito. A me, sinceramente, faceva ridere fino ad un certo punto. Quando avevo davanti qualcuno che parlava così, avevo sempre l'impressione che il mio interlocutore avesse qualcosa in bocca di fastidioso da sputare. La generazione dei cioè diceva di avere tanto da spiegare al mondo, a me sembrava invece che non ci riuscisse proprio a spiegare nulla, almeno non a parole. Quello che più di tutto attirava la mia attenzione era questa massa di ragazzotti molleggianti a cui bastava infilare in un discorso parole come popolo, sistema, capitalista, società e, grazie a qualche cioè, il gioco era fatto. Chi ascoltava avrebbe dovuto aver chiaro quello che aveva da dire.
A quell'epoca ero troppo piccola per interessarmi al sociale né tantomeno alla politica, ma tutti quei discorsi mi lasciavano perplessa. Forse perché, dall'altra parte, avevo la fortuna di poter ascoltare gente che non aveva bisogno di nomi, avverbi e locuzioni per esprimere concetti a cui bastavano abbondantemente i termini dello Zingarelli per essere espressi. E senza che all'altro restasse il minimo dubbio.

Tutti quei cioè, non so se mi spiego, capisci, no?, biascicati tra una ciancicata (=masticata) e l'altra di gomma americana - in un discorso dove "il lei" era praticamente inesistente - distoglievano comunque la mia attenzione da qualsiasi concetto, anche il più sensato (qualcuno lo sarà stato di certo). Oltre al cioé, anche il praticamente non era male... Un altro tristissimo tentativo di spiegarsi meglio che però, rispetto al cioè, aveva una marcia in più. Il praticamente era "fico". Perché lo usava chi già aveva vissuto l'esperienza che stava per raccontarti e, in quel modo, cercava di rivelarti (per amicizia) la "dritta" che ti avrebbe facilitato la vita. Il praticamente non era odioso come il cioè, ma devo ammettere che, per quanto mi riguarda, la sua sopportazione dipendeva dal numero di ripetizioni nella stessa frase.
Ma non voglio fare un trattato sul post '68, non voglio parlare di figli dei fiori nè di fricchettoni. Poco cambia, per me, se a dire stupidaggini erano compagni o camerati. 
E non voglio nemmeno parlare degli intercalari più comuni usati in italiano di cui si può fare una lista lunghissima: dal voglio dire a un attimino, alle parole oscene più o meno desemantizzate o eufemizzate, ai forestierismi (you know, bon), ai termini dialettali o alle parole che appartengono al solo linguaggio giovanile (un sacco oggi un botto, bella oppure scialla...).
Ho solo voglia di mettere nero su bianco quello che non sopporto, oggi.

Lo ammetto: è stato l'avvento del piuttosto che usato impropriamente a farmi venir voglia di scrivere questo post. E mi conforta, una volta tanto, leggere anche su Wikipedia (qualcosa di buono si trova anche là!) che l'odio verso tale uso scorretto dell'espressione (leggetelo dopo, se vi va) non è solo mio.
Quello che avverto - e a quanto pare non sono la sola - è che se in passato l'uso errato delle parole così come degli intercalari era proprio di persone ignoranti o poco pratiche della lingua, oggi è un vezzo che sa di snob, e quindi colpisce trasversalmente, senza distintinzione, gente di ogni cultura, ogni età, ogni ceto sociale. 
La cosa triste è che praticamente nessuno si arrabbia, nessuno fa notare niente a nessuno, primi fra tutti alcuni colleghi che, spesso e volentieri, per radio, televisione e perfino per iscritto, incorrono in orrori del genere.
Cosa mi fa andare in bestia ultimamente? L'assolutamente sì (come l'assolutamente no). Forse, nella società odierna, veloce e distratta, si sente il bisogno di rafforzare ogni singola affermazione (o negazione). Ma a nessuno viene in mente che chi lo subisce, forse, potrebbe capire le intenzioni di chi parla grazie a semplici sì e no?

Bene. La scrittura ha assolto, come sempre, la funzione di sfogo. E naturalmente vi autorizza, da qui all'eternità, a correggermi, ogni qualvolta dovessi incappare in orrori simili.
Ora sono meno arrabbiata. E mi godo con voi Ruggero, il fricchettone.
Tanto di cappello al signor Verdone...

L'anno vecchio se ne va...



Inevitabile, ogni Capodanno, fare un piccolo bilancio di quello che è stato l'anno precedente. Come è ovvio che sia, c'è la fazione degli "insoddisfatti" e quella dei "grati", che dovrebbero spartirsi la torta dei doni dell'anno più o meno al cinquanta per cento. Ma vuoi per la crisi, vuoi perché è più facile e più popolare vedere il bicchiere mezzo vuoto, negli ultimi anni gli "insoddifatti" sembrano dominare la scena.
Per questo mi sono stupita, stamani, quando ho sentito un'intervista alla campionessa di fondo Valeria Straneo che, dopo l’operazione alla milza che l’ha guarita dalla sferocitosi, ha avuto una escalation rapidissima che l'ha portata ai vertici dell’atletica internazionale. Nell'intervista, la maratoneta si dichiarava (quasi imbarazzata nel farlo) strafelice dell'anno appena trascorso, per le grandi ed inaspettate soddisfazioni dal punto di vista atletico.

Io non appartengo, per default, ad una o all'altra categoria. Ma quest'anno, ahimè, anche se qualcosa di buono sempre c'è, devo schierarmi con i più. Non mi lamento, non mi piace farlo, ma se potessi li cancellerei tutti i dodici mesi del 2013. Il mio essere un po' strega l'aveva previsto il buio, facendomi affrettare a concludere tutti gli impegni più importanti entro dicembre 2012. Non so perché l'ho fatto, non c'era niente che potesse farmi supporre nulla, a parte un Giove in opposizione e un personale Saturno in dodicesima casa, quella delle prove, dalla quale non schioda da tempo (di cui però non si può parlare al mondo...), e a parte una congenita allergia verso il numero 13, in tutte le sue forme. Si chiama triscaidecafobia - l'ho imparato di recente - e trattasi di una paura del tutto immotivata, verso il suddetto numero. Oddio, immotivata poi... se ha origine da Giuda in esubero alla tavola di Cristo, tanto immotivata non mi sembra; così come non mi pare felice se nei Tarocchi la carta numero tredici è la Morte. Hai voglia a dirmi che non è una carta negativa perché rappresenta la rinascita...

Tornando al mio discorso, come stavo dicendo il 13 a me non piace affatto, e m'ha sempre dato fastidio. Come quella volta che per non averlo barrato, dopo aver girato più volte la penna sopra al suo cerchietto, ho saltato la più grossa vincita della storia al Superenalotto. Come quell'altra in cui ho comprato una casa all'interno 13 (perché non bado a queste cose, io) che m'ha dato problemi già da prima del compromesso. Non sono scaramantica, almeno non nel senso più puro del termine. Ma ho imparato, nella vita, a fidarmi del mio istinto, e a fare le cose che ritengo opportuno fare quando mi sento di farle. Finora m'ha detto bene.

Comunque... siccome nella vita io il bicchiere lo vedo quasi sempre mezzo pieno, oggi che l'anno è giunto al termine, mi va di pensare al fatto che il numero 13 è associato alla fine di un ciclo, ergo, precede nuovi inizi. [Tredici sono i mesi lunari ogni anno solare, tredici i segni dell'astrologia celtica, tredici i suoni di ogni ottava cromatica (le note di ogni ottava, comprese quelle alterate con diesis e bemolle) e sommando i primi 13 numeri si ottiene 81, ossia il numero di giorni da cui è composta ogni stagione climatica].

Insomma, ho fatto tutta 'sta caciara, pardon, tutto questo parlare, solo per dire e per dirvi che spero con tutto il cuore che il 2014 sia migliore del precedente. Sotto tutti i punti di vista. Per tutti quanti. Per ogni cosa. Per un nuovo inizio.
Auguri, auguri a tutti. 


top