Mio nonno aveva lo sguardo fisso. Seduto sulla terrazza della casa al mare, non mi guardava in faccia nè guardava l'orizzonte. Aveva gli occhi posati su un punto indefinito del lastricato di pietra. Aveva compiuto da qualche tempo novant'anni.
"Il brutto di arrivare a quest'età" iniziò "è che i tuoi amici sono quasi tutti morti". E dopo una pausa: "Non c'è quasi più nessuno a cui puoi rivolgerti se hai bisogno di aiuto, nessuno a cui chiedere un consiglio. Nessuno della tua età con cui condividere i tuoi ricordi di bambino".
Non serviva ricordargli che aveva ancora sei figli, nove nipoti e dodici pronipoti; una seconda moglie. Nessuno di noi contava. Nessuno di noi era nato all'inizio del Novecento. Nessuno di noi aveva combattuto le guerre, fatto la fame e assistito alla rinascita e poi al declino di un'Italia che lui aveva visto in così tante forme che noi non ci riusciamo nemmeno ad immaginare.
Un uomo potente che diventava improvvisamente solo, e fragile, e inutile.
Mio nonno visse ancora un po' da quel giorno, ma non molto. Forse perché aveva deciso che non era più così eccitante vivere una vita da non poter condividere con qualcuno che non parla la tua lingua.