Accendo la tele. La cronaca mi parla quotidianamente di morte. Morti rapide o lentissime, inaspettate o prevedibili, tranquille o violente. Abbiamo una sola esistenza e non sappiamo di certo come ci sarà tolta. Se saremo noi ad andare incontro alla morte o se sarà lei a sorprenderci, tagliando il filo che ci lega a quest'unica vita in un tempo infinitamente piccolo, tale da non farci nemmeno rendere conto del momento. Quale morte augurare ai propri cari, quale morte augurare a se stessi?
Spengo. Chiudo gli occhi.
Il pericolo reale, forse, non è quello di smettere di vivere (che in effetti non è un pericolo, è una certezza che nessuno può evitare). Quel che è pericoloso, davvero stavolta, è vivere senza rendersene conto.
Vegetare, con l'alibi di essere troppi stanchi del lavoro, troppo stressati dal traffico, troppo impegnati per ricordare cose diverse dall'essere... se stessi. Trascorrere giornate ad aspettare che finiscano, vivere il lavoro, l'amore, gli affetti, come se tutto fosse lì, immobile, per sempre. Credere di riposarsi sul divano inebetiti davanti ad uno schermo, mentre ciò che si sta facendo, realmente, è perdere tanti momenti più importanti di una vita che non ripasserà sotto ai tuoi occhi.
Perché crescendo si smette di studiare, di sognare l'amore, si dimenticano i progetti, si scordano i desideri, si accantonano i sogni, in nome di un rigore e di una compostezza strumentali solo alla nostra pigrizia, al nostro egoismo. Si eludono le responsabilità, si scambiano per doveri quelli che una volta si consideravano dei diritti e che, una volta, si consideravano dei piaceri, delle conquiste.
Non possiamo evitare di morire.
Ma io non voglio evitare di vivere.