Niente più

A TE

Tu sei quel respiro che mi toglie ancora il fiato
il solo nome che mi viene come cerco le parole...


"Non sono del Comune!"

La mia macchina fa i capricci. Per qualche giorno la lascio dal meccanico. Mi sposto a piedi, quando posso, e quando non posso prendo un taxi. C'è un posteggio a cinquecento metri da casa, un telefono urbano da chiamare per avere in circa 60 secondi un'auto a disposizione.
Già al secondo giorno del malaugurato e incomprensibile (anche per i meccanici) malessere della mia auto, la linea della colonnina del taxi fa occupato. Sempre.
Ok, il telefono è isolato, lo aggiusteranno. Esco a piedi su quindici centimetri di tacchi. Per la fretta mi gioco un legamento del piede destro.

La macchina continua a fare le bizze. Mai, come in questi giorni, devo spostarmi velocemente in città più volte al giorno. Mi fa una rabbia dover chiamare il radiotaxi, che quando arriva a prenderti segna già 6/7 euro di chiamata... Perchè diavolo non riparano quella maledetta linea!
I giorni passano. Decido di chiamare la compagnia telefonica per segnalare il guasto.

Riesco a parlare con un umano solo dopo cinque/sei numeri verdi. Sì, perché la colonnina del taxi appartiene al Comune di Roma, e per segnalare un guasto di una linea comunale c'è una linea particolare, a cui risponde un operatore milanese di un'azienza (milanese?) che gestisce tutte le linee del Comune di Roma. Riesco finalmente a fare la mia segnalazione. L'operatore mi chiede nome, cognome, telefono, mi comunica il codice del reclamo e mi chiede il mio ruolo. Ma quale ruolo?
"Sono solo una cittadina che non può usufruire di un servizio pubblico".
L'operatore, perplesso, mi dice di attendere perché sta facendo un controllo. Mi dice che effettivamente la linea non funziona, perchè c'è un corto-circuito. Chiedo quanto ci vorrà per ripararlo. Massimo 24 ore, mi assicura. Saluto e ringrazio.

Il giorno seguente sono ancora su un'altra auto pubblica e chiedo all'autista notizie del telefono. Lui casca dalle nuvole. A sentir lui, nessuno si è accorto, in dieci giorni, dell'inconveniente.

L'indomani prendo un altro taxi e, per sfogarmi con qualcuno solidale alla mia battaglia, gli racconto tutta la storia. Il tassista mi scoppia a ridere in faccia:
"A signo', ma figurete se l'aggiusteno - risponde divertito - poi pure moricce attaccata ar telefono!"
Rispondo un po' piccata, da cittadina modello: "Però se domani funziona la chiamo e mi regala una corsa!". Lui continua a ridere e bofonchia. "Nun ce sperà...".

Il pomeriggio provo a chiamare. Il telefono squilla. Evviva, ce l'ho fatta. Il taxi lo pago un po' meno.

Passa ancora un giorno. Ricevo una telefonata della telecom. Perché? Ormai il problema è risolto. L'operatore vuole sapere chi sono. Ancora?
"Guardi, sono solo una cittadina che ha segnalato un guasto che mi impedisce di usufruire di un servizio pubblico!
"Aahh, ma lei, allora, lei non è una del Comune..."
"No che non lo sono - insisto - ma qual è il problema?"
Il silenzio dell'operatore è così eloquente che smetto di fare domande.

Ora devo prendere un taxi. Chiamo.
Ma guarda un po'. Il telefono è di nuovo isolato.

Qualcosa di nuovo, anzi d'antico...

In certi casi, trovo sia lecito (e utile) anche scomodare il sommo Poeta... 



Accendo la tele. La cronaca mi parla quotidianamente di morte. Morti rapide o lentissime, inaspettate o prevedibili, tranquille o violente. Abbiamo una sola esistenza e non sappiamo di certo come ci sarà tolta. Se saremo noi ad andare incontro alla morte o se sarà lei a sorprenderci, tagliando il filo che ci lega a quest'unica vita in un tempo infinitamente piccolo, tale da non farci nemmeno rendere conto del momento. Quale morte augurare ai propri cari, quale morte augurare a se stessi?
Spengo. Chiudo gli occhi.

Il pericolo reale, forse, non è quello di smettere di vivere (che in effetti non è un pericolo, è una certezza che nessuno può evitare). Quel che è pericoloso, davvero stavolta, è vivere senza rendersene conto.

Vegetare, con l'alibi di essere troppi stanchi del lavoro, troppo stressati dal traffico, troppo impegnati per ricordare cose diverse dall'essere... se stessi. Trascorrere giornate ad aspettare che finiscano, vivere il lavoro, l'amore, gli affetti, come se tutto fosse lì, immobile, per sempre. Credere di riposarsi sul divano inebetiti davanti ad uno schermo, mentre ciò che si sta facendo, realmente, è perdere tanti momenti più importanti di una vita che non ripasserà sotto ai tuoi occhi.
Perché crescendo si smette di studiare, di sognare l'amore, si dimenticano i progetti, si scordano i desideri, si accantonano i sogni, in nome di un rigore e di una compostezza strumentali solo alla nostra pigrizia, al nostro egoismo. Si eludono le responsabilità, si scambiano per doveri quelli che una volta si consideravano dei diritti e che, una volta, si consideravano dei piaceri, delle conquiste.

Non possiamo evitare di morire.
Ma io non voglio evitare di vivere.

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