Sanremo2016, quello che non ho detto su Twitter


Mi annoio ma non posso non vederlo. Per un po' commento e scherzo con chi mi sta accanto, ma ci stanchiamo presto. Allora mi rivolgo a Twitter che mi fa ridere e condividere odio e amore per quanto sento e vedo. Ma i 140 caratteri non mi bastano, allora eccomi qui a raccontare il mio Sanremo. Quest'anno però non sarò diplomatica, non ho voglia di star lì a giustificare le mie parole.

Carlo Conti conduce con maestria e disinvoltura, una scioltezza, forse troppa, che azzera la possilità di cogliere in fallo il conduttore, da sempre tra i principali divertimenti di queste lunghe serate. Virgina Raffaele è bravissima, la modella l'ho già dimenticata, Garko è il manichino dal sorriso smagliante di questa 66esima edizione. Sarà rimodellato e impedito ma meno male che c'è, altrimenti non avremmo avuto modo di (s)parlare così tanto.

In questa sede chiarisco un concetto una volta per tutte. Una cosa è quello che mi piace, altro è ciò che penso che sia funzionale al Festival. Le due cose possono corrispondere oppure no. Di certo quando la notte mi metto in cuffia non ascolto le canzoni di Sanremo. Capita raramente almeno. Detto ciò vado avanti.

E comincio col dire che la cosa più bella che ho visto finora è stata la performance di Ezio Bosso. Come già twittato, le sue mani ferme sul piano, a dispetto di quella bestia di malattia che si sta impossessando della sua vita, sono un miracolo, quel miracolo che la musica è capace di fare come poche altre cose al mondo. Mi emoziona, mi fa stare bene, mi fa dimenticare tutta la banalità e l'inutilità che ho sentito in queste due serate e che sento spesso in televisione. Mi sono emozionata anche vedendo Elton John e ho sorriso vedendo i suoi polsini con tanto di corona dorata. Ma non ho potuto fare a meno di sentire un vibrato che lui non ha mai avuto e che non mi piace, ma lo amo lo stesso. Ascolto la Pausini che però non mi suscita mai niente. A Ramazzotti che gli vuoi dire? S'è pure dimagrito. Però cantare "Più bella cosa non c'è" rivolto alla sua attuale moglie in platea non si fa. Ha fatto infuriare tutti, se non altro perché ci ha massacrato per anni nel dirci che l'aveva partorita per Michelle. Bah. Gliela passo perché so che l'eleganza non è il suo forte. E perché pure lui è cresciutello e la maturità tutto sommato gli dona. E gli passo pure i ridondanti arrangiamenti di stasera, soprattutto perché mi rendo conto che Eros fa Festival di Sanremo, quella cosa che adesso sembra non esserci più e che rimpiango.
Il dopofestival è piacevole, nonostante l'ora, perché la Gialappa's non si risparmia e fa da contraltare ai troppi esimi colleghi che il Festival l'hanno sempre preso troppo sul serio.

Andiamo al sodo. So che c'è chi aspetta i miei tweet per scommetere denaro sul pronostico. Vi deluderò, al momento non so cosa pensare, tranne il fatto di essere sempre più convinta del fatto che in Italia, oggi, mancano proprio gli artisti. Ma che ci vuoi fare. Sanremo s'adda fa comunque per Mamma Rai.
La prima serata, nonostante avessi letto i testi in anticipo, non sono riuscita a capire quasi niente di quanto promunciato per le prime ore (quando la musica non c'è mi concentro sul testo, sperando di trovare qualcosa per cui valga la pena ascoltare), tant'è che quando ha aperto bocca Arisa m'è sembrato un miracolo. Il testo sarà bislacco e la musica non ha niente di originale, ma lei è brava (pure a scegliere gli orridi vestiti che faranno comunque parlare di lei) e il pezzo si canta. Così come si canta Neffa. E poi mi è piaciuto il pezzo di Rocco Hunt, ma non so quanto conta il fatto che le palpebre stavano calando e la sua canzone è stata la prima, dopo ore, sopra i cento di metronomo. Però credo che funzionerà. Ruggeri mi ha sorpreso, ma non ricordo perché.

Stasera m'è piaciuta Dolcenera (strano, di solito la ignoro), ma a riempire la scena è stato il placido Beppe Vessicchio che, dopo la latitanza della prima serata, il pubblico del web (e non solo) acclamava a gran voce ed ha accolto come una star. Aspettavo Elio e le Storie Tese per capire come potesse essere un pezzo fatto solo di ritornelli: è proprio come quello che hanno fatto. Geniale ma onestamente inutile. Se vincessero quest'anno sarebbe come ammettere che il Festival è tutta una presa in giro. Ma almeno loro si divertono e se lo possono permettere perché lo fanno bene.
Spero che i Bluvertigo abbiano fatto altrettanto, perché la performance di Morgan non sarà certo ricordata dai posteri.
Patty Pravo ha fatto la sua prova. M'aspettavo pure peggio. Ma lei l'annovero tra quelli che ci "devono" stare, altrimenti Sanremo diventerebbe altro. Magari. Ma per merito di chi? I tanti giovani cicciati dai talent mi sono scivolati addosso come gli Zero Assoluto e peccato che in queste occasioni la voce del bravo imitatore Scanu non sia mai sostenuta da quella cosa indispensabile per diventare qualcuno che si chiama personalità. Del pezzo di Noemi mi piace il testo. Dei rapper non parlo perché non sono mia riuscita ad assimilarli al genere "cantante", parlo invece di Irene Fornaciari perché non ho capito perché continua a provarci. Chi manca? Ah, gli Stadio. Non m'ha fatto effetto ma ormai sono passate le due di notte e sono stanca, sinceramente non ricordo.
So che in generale non riesco più a sopportare chi non riesce a tenere l'intonazione manco sotto tortura. Considerando che stiamo parlando di cantanti sarebbe una cosa auspicabile.

La cosa più piacevole di queste due serate? Un Frassica distante dalla gara, consapevole e ficcante come sempre, che entra dicendo "Le canzoni sono tutte uguali. Io sono qui solo per conoscere Garko". Come dargli torto.

 © Caterina Somma - Tutti i diritti riservati



Più di novanta


Mio nonno aveva lo sguardo fisso. Seduto sulla terrazza della casa al mare, non mi guardava in faccia nè guardava l'orizzonte. Aveva gli occhi posati su un punto indefinito del lastricato di pietra. Aveva compiuto da qualche tempo novant'anni.

"Il brutto di arrivare a quest'età" iniziò "è che i tuoi amici sono quasi tutti morti". E dopo una pausa: "Non c'è quasi più nessuno a cui puoi rivolgerti se hai bisogno di aiuto, nessuno a cui chiedere un consiglio. Nessuno della tua età con cui condividere i tuoi ricordi di bambino".

Non serviva ricordargli che aveva ancora sei figli, nove nipoti e dodici pronipoti; una seconda moglie. Nessuno di noi contava. Nessuno di noi era nato all'inizio del Novecento. Nessuno di noi aveva combattuto le guerre, fatto la fame e assistito alla rinascita e poi al declino di un'Italia che lui aveva visto in così tante forme che noi non ci riusciamo nemmeno ad immaginare.
Un uomo potente che diventava improvvisamente solo, e fragile, e inutile.

Mio nonno visse ancora un po' da quel giorno, ma non molto. Forse perché aveva deciso che non era più così eccitante vivere una vita da non poter condividere con qualcuno che non parla la tua lingua.


Volume non è potenza, abbondanza non è piacere


Le basse frequenze sono il mio pane quotidiano, perché mi piace sentirle nella pancia da sempre, perchè ho sposato più di cent'anni fa chi si esprime per loro tramite. Non mi spaventa quindi il suono che fa vibrare il corpo fisicamente oltre che emotivamente.

La premessa non è sufficiente a spiegare il mio commento, aggiungerò quindi il ricordo di quella "zona rossa" che fin dagli anni '70 ti insegnavano a non raggiungere se volevi avere una perfetta registrazione audio con i primi strumenti analogici. Una musicassetta che superava detti limiti era irrimediabilmente da buttare, inutile, inascoltabile.
Chiedo allora con umile preghiera, ai signori che si occupano della diffusione audio nei concerti di musica italiana, di ricordare tale semplice insegnamento, tenendo presente che la saturazione del suono avviene, prima che negli strumenti, nell'orecchio umano.

Oltre un certo limite non si sente meglio: non si sente proprio.

Tant'è che ti viene in mente che ci sia qualcuno che lo faccia di proposito: se non si riesce a percepire le note buone non si riesce nemmeno ad individuare quelle meno buone. Senza essere necessariamente cattivi, la verità è che in genere, parlando di suono, in Italia spesso si confonde il volume con la potenza (ovviamente c'è qualche rara eccezione.... ma chi gode della mia stima già sa).

Rammento il concetto: potente è un accordo giusto, un'armonia rispettata, una voce presente, un'equalizzazione bilanciata.
E rammento pure che il pubblico non è così cretino. E a certi spettacoli assiste per affetto verso cantanti e cantautori che hanno partecipato alla colonna sonora della propria vita, non perché si aspetti di assistere ad uno spettacolo indimenticabile.
 
Personalmente soffro. Vado, gioisco di qualcosa, ma la maggior parte del tempo soffro.
Mi limito a porre attenzione ai quei brevi momenti acustici che temo vengano inseriti in scaletta più per far rifiatare l'orchestra che per far godere il popolo. Che sono gradevoli anche perché scevri dall'abbondanza delle sovrapposizioni tra voci e strumenti, tipici dei ridondanti arrangiamenti di tanta musica pop nostrana, che rendono il ragù sulla pasta talmente unto da non riuscire più ad apprezzare il sapore della carne. Ma questa è un'altra storia... 

Peccato che sia così, in un paese che ha fatto dell'arte il suo vanto per secoli e secoli. E peccato si debba sempre far riferimento ai concerti anglosassosi - in cui tutto è chiaro, tutto evidente, dalla semplicità dell'espressione ai virtuosismi - quando si vuole portare ad esempio un concerto magnifico.

Semplimente perchè il volume della diffusione è più basso. Non perché i musicisti stranieri suonino meglio.


Flash




Gli anni sono una manciata di sabbia che trattieni nel palmo, per poi spargerla nel mondo in faccia a chi pensa che possano toglierti qualcosa.
Gli anni danno, non tolgono. La vita riempie, non svuota mai.
E a tutti, prima o poi, tocca il miracolo di vivere un attimo che vale tutta l'esistenza.
Quella che poi vivi in attesa di altri attimi come quello.
Che se vengono sono lì. E se non arrivano te li aspetti. Tanto tornano.
Basta solo non dimenticarli.
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