Più di novanta


Mio nonno aveva lo sguardo fisso. Seduto sulla terrazza della casa al mare, non mi guardava in faccia nè guardava l'orizzonte. Aveva gli occhi posati su un punto indefinito del lastricato di pietra. Aveva compiuto da qualche tempo novant'anni.

"Il brutto di arrivare a quest'età" iniziò "è che i tuoi amici sono quasi tutti morti". E dopo una pausa: "Non c'è quasi più nessuno a cui puoi rivolgerti se hai bisogno di aiuto, nessuno a cui chiedere un consiglio. Nessuno della tua età con cui condividere i tuoi ricordi di bambino".

Non serviva ricordargli che aveva ancora sei figli, nove nipoti e dodici pronipoti; una seconda moglie. Nessuno di noi contava. Nessuno di noi era nato all'inizio del Novecento. Nessuno di noi aveva combattuto le guerre, fatto la fame e assistito alla rinascita e poi al declino di un'Italia che lui aveva visto in così tante forme che noi non ci riusciamo nemmeno ad immaginare.
Un uomo potente che diventava improvvisamente solo, e fragile, e inutile.

Mio nonno visse ancora un po' da quel giorno, ma non molto. Forse perché aveva deciso che non era più così eccitante vivere una vita da non poter condividere con qualcuno che non parla la tua lingua.


Volume non è potenza, abbondanza non è piacere


Le basse frequenze sono il mio pane quotidiano, perché mi piace sentirle nella pancia da sempre, perchè ho sposato più di cent'anni fa chi si esprime per loro tramite. Non mi spaventa quindi il suono che fa vibrare il corpo fisicamente oltre che emotivamente.

La premessa non è sufficiente a spiegare il mio commento, aggiungerò quindi il ricordo di quella "zona rossa" che fin dagli anni '70 ti insegnavano a non raggiungere se volevi avere una perfetta registrazione audio con i primi strumenti analogici. Una musicassetta che superava detti limiti era irrimediabilmente da buttare, inutile, inascoltabile.
Chiedo allora con umile preghiera, ai signori che si occupano della diffusione audio nei concerti di musica italiana, di ricordare tale semplice insegnamento, tenendo presente che la saturazione del suono avviene, prima che negli strumenti, nell'orecchio umano.

Oltre un certo limite non si sente meglio: non si sente proprio.

Tant'è che ti viene in mente che ci sia qualcuno che lo faccia di proposito: se non si riesce a percepire le note buone non si riesce nemmeno ad individuare quelle meno buone. Senza essere necessariamente cattivi, la verità è che in genere, parlando di suono, in Italia spesso si confonde il volume con la potenza (ovviamente c'è qualche rara eccezione.... ma chi gode della mia stima già sa).

Rammento il concetto: potente è un accordo giusto, un'armonia rispettata, una voce presente, un'equalizzazione bilanciata.
E rammento pure che il pubblico non è così cretino. E a certi spettacoli assiste per affetto verso cantanti e cantautori che hanno partecipato alla colonna sonora della propria vita, non perché si aspetti di assistere ad uno spettacolo indimenticabile.
 
Personalmente soffro. Vado, gioisco di qualcosa, ma la maggior parte del tempo soffro.
Mi limito a porre attenzione ai quei brevi momenti acustici che temo vengano inseriti in scaletta più per far rifiatare l'orchestra che per far godere il popolo. Che sono gradevoli anche perché scevri dall'abbondanza delle sovrapposizioni tra voci e strumenti, tipici dei ridondanti arrangiamenti di tanta musica pop nostrana, che rendono il ragù sulla pasta talmente unto da non riuscire più ad apprezzare il sapore della carne. Ma questa è un'altra storia... 

Peccato che sia così, in un paese che ha fatto dell'arte il suo vanto per secoli e secoli. E peccato si debba sempre far riferimento ai concerti anglosassosi - in cui tutto è chiaro, tutto evidente, dalla semplicità dell'espressione ai virtuosismi - quando si vuole portare ad esempio un concerto magnifico.

Semplimente perchè il volume della diffusione è più basso. Non perché i musicisti stranieri suonino meglio.


Flash




Gli anni sono una manciata di sabbia che trattieni nel palmo, per poi spargerla nel mondo in faccia a chi pensa che possano toglierti qualcosa.
Gli anni danno, non tolgono. La vita riempie, non svuota mai.
E a tutti, prima o poi, tocca il miracolo di vivere un attimo che vale tutta l'esistenza.
Quella che poi vivi in attesa di altri attimi come quello.
Che se vengono sono lì. E se non arrivano te li aspetti. Tanto tornano.
Basta solo non dimenticarli.

Normalità. E follia.


        I'm a child of a backseat freedom,
                          baptized by rock 'n' roll, Marilyn Monroe in the Garden of Eden,

                          never grow up, never grow old.
                         Just another rebel in the great wide open on the boulevard of broken dreams
Non ho paura della follia. Se la follia è non normalità.
Ho molta più paura del normale. Mi annoia, mi intristisce, mi sconforta.
La follia è l’ignoto. L’ignoto da cui può nascere qualunque cosa. Idea molto più eccitante di una tranquilla normalità, anche se dalla follia può scaturire l’orrore. Ma l’animo umano è molto più incline alla varietà che alla sanità. Che nessuno sa cos’è.
Già, la normalità è forse sanità? Nel dubbio che lo sia, io non la bramo.
La singolarità è follia? Di certo è unicità, e per questo va difesa, anche a costo di restare fuori dal coro. Coinvolgente, sì, cantare, suonare insieme ad altri, ma un assolo non ha eguali. Questione di gusti, ovvio, questione di carattere, di personalità, di tratti distintivi di ognuno di noi. Ma un distintivo uniforma. E dai che si torna al punto di partenza, e io non voglio tornare all’uniformità. La rifuggo dalla nascita.
C’è chi lo fa per paura della solitudine, quella che viene dalla semina fuori dal solco. Ma è solo un folle? Niente affatto. E’ molto più facile, e più divertente, trovare alleati in un’idea folle che aggregarsi ad una pratica media. Al diavolo i latini, in medio non stat affatto virtus (tantomeno in media).
Un’idea geniale è quasi sempre frutto di un errore, di un inganno, di un ragionamento o un processo, che un qualsiasi imprevisto ha fatto deviare, invertire, modificare. Ecco perché il genio si avvicina alla follia.
Follia come imprevisto. Imprevisto come soluzione. Lampo come novità.
Nuovo come umano, come solo l’essere umano sa essere.
Essere, divenire. Trasformarsi come progredire. Cambiare per migliorare. Migliorare per realizzarsi. Realizzare per essere e per aiutare. Aiutare per essere uomini, fino in fondo. Per dar senso a quella mente che per motivi a noi sconosciuti è la più capace tra quelle degli esseri che ci circondano, perché, da sola, è capace di modificare la realtà.
Realtà o visione di essa?
Fatto sta che il cambiamento che l’uomo genera modifica l’ambiente e i suoi abitanti. E lo fa cambiare ad una velocità tale che non possiamo non chiederci se non fosse stato meglio non fare nulla.
Genio come follia? Follia come azione inconsulta? Cambiamento come libero arbitrio?
Non so giudicare. So solo che la natura dell’uomo lo porta ad agire. Non a non farlo.
E che sia bene o che sia male, questo fatto rende l’esistenza molto più divertente          :-)
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