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Un giornalista. Diventarlo non era nei miei piani, esserlo però mi ha sempre dato gioia ed orgoglio. Quasi sempre. Ma non in sere come questa.

Lavorare sulle notizie, essere pagati per parlare di quello che succede nel mondo, non è gloria, non è forza, non è superiorità. E' lavoro. Un lavoro che è soprattutto un dovere. Un dovere che ha, o dovrebbe avere, chiunque ha il potere di far vedere ad altri, con i propri occhi, la realtà che ci circonda. Così come la cronaca, specie quella nera, non è spettacolo. Non è quello show ignobile a cui assisto ogni giorno.

Questo lavoro, invece, diventa spesso un vantaggio per fare una buona carriera, una spinta per guadagnare più soldi e un contratto privilegiato, un mezzo per ottenere ancora più potere di quanto già se ne abbia. Che, se ottenuto così, inevitabilmente sarà un potere malato, in grado di fare male, ancora di più e sempre di più.
Che carriera. A quale prezzo e con quale cuore è possibile farla.

Stasera quella disgustosa macchina mediatica che è oggi la televisione mi fa orrore. Mi fa schifo la tv della dolore, e mi fa schifo l'enorme quantità di persone asservite alla legge dei numeri, a servizio della conquista dello share. Colleghi che si sentono costretti a fare scalpore, per scongiurare il rischio di fare la valigia in caso di inadempimento (tanto di chi è disposto a farlo c'è una lunga fila), persone che che per giustificare le proprie colpe si nascondono dietro ai doveri di una presunta televisione di servizio. Che però - ma guarda un po'! - è sempre sotto la legge del dio share. Che potrebbe anche essere l'unico obiettivo di un'azienda, ma non può essere "l'obiettivo". A scapito della dignità dell'uomo.

Si può perdonare, perché non sanno quello che fanno?
No. Perché lo sanno.

Uno l'abbiamo trovato!

Stavolta dicono sia proprio vero! Un altro pianeta compatibile con la vita l'hanno trovato veramente.
E' roccioso, abbastanza grande (4 volte la terra) e un po' freddino (la temperatura media di superficie oscilla fra i -31 e i -12 gradi centigradi), ma ci si può andare. Si trova a soli 20 anni luce dal nostro sistema solare.
Nonostante sia nella costellazione della Bilancia, non sembra però molto... poetico.
Già dal nome. Si chiama Gliese 581g. Impiega solo 37 giorni per fare il giro intorno ad una Nana Rossa (noi abbiamo IL SOLE, sigh). E attorno alla nana girano solo altri 5 pianeti (in caso di trasferimento, sarebbe da rivedere tutta la materia astrologica!).
A occhio, sembrerebbe andar bene per eremiti eschimesi in cerca di rapide, mezze stagioni, da vivere in assoluto silenzio...

Però sarebbe ottimo per spedirci - con biglietto di sola andata - quelli che sputano sulle bandiere, che fischiano gli inni nazionali o che tirano scarpe in Parlamento.
E a tutta un'altra serie di animali, di cui mi riservo di suggerire il nome in un secondo momento.

Cocaina

Chissà perché questa è una di quelle parole che fanno tanto clamore.
Io non la uso e non la userei perchè ho paura di perdere il controllo, ho paura di star male, perché non voglio nuocere ad altri e, soprattutto, perchè non voglio alimentare il suo mercato. Io no.
Ma non capisco perché faccia tanto effetto sapere chi e quanti, non capisco la morbosità relativa a chi la consuma, il disgusto e il disprezzo, almeno apparente, da parte dell'opinione pubblica, verso chi ha deciso di fondersi il cervello, per scelta. Come se, per farsi un'idea di qualcuno, si debba frugare nel suo guardaroba o nel suo frigorifero.
Quando guardavo giocare Maradona non pensavo alla droga che si faceva, quando vedo un Van Gogh non mi chiedo se le sue allucinazioni erano naturali, quando canto un pezzo dei Beatles non sto lì a chiedermi se è stato partorito prima o dopo aver fumato chissacché.
Affaracci loro. 
Il problema è un altro.
Morgan non è John Lennon, Elisabetta Canalis non è Marilyn Monroe.
Se Elvis è morto soffocato dalla sua bulimia, per me è stato strangolato dalla fame di successo.
Se Michael Jackson è morto per un sonnifero di troppo, per me è non si è più svegliato per la paura di ritrovarsi solo con se stesso.
Che usassero o meno la droga, secondo me, è qualcosa che lascia il tempo che trova.



vincent van gogh - wheat field under clouded sky (1890)

Si perdona tutto, tranne il dolore


 
"Si dimentica prima una ferita che un insulto"
(Philip Dormer Chesterfield)
Capita.

Anche a Belen è capitato.
Quello che definisce il suo addio definitivo (ma chi ci crede) a Fabrizio Corona - secondo l'intervista che la ragazza ha rilasciato a "Vanity Fair" - sarebbe dovuto a questioni di fiducia "anche perché è capitato, negli ultimi tempi, che non mi fidassi di lui...", ammette. Non è una delle tante crisi passeggere, a sua detta, si tratta di un addio definitivo. Per i maligni, forse nessuno dei due trae più beneficio dallo stare insieme all'altro. Per i romantici, la passione è finita. Oppure.

Oppure è veramente una questione di fiducia persa. Fiducia: la quintessenza di un rapporto d'amore. Una volta perduta, nei confronti di una persona, difficilmente si recupera.

Sembra incredibile. Eppure è così. Gli errori si fanno, gli errori costano, gli errori fanno male. E si fanno. Ancora. Lo stesso. Bugie, sbagli, menzogne. Orrori dell'anima. Che procurano fratture all'osso che, una volta spezzato, non si risalda mai nel modo giusto. O si risalda e poi si spezza. O fa male quando cambia tempo. Per ricordarti che la frattura è stata piccola ma dolorosa, grande anche se silente. Come un tarlo, scava silenziosa, anzi mica tanto, finché distrugge il materiale di cui si nutre e manda tutto in pezzi. Silenzioso, il sospetto che nasce dalla mancanza di fiducia, lavora dentro e combatte per vincere la guerra, non la battaglia.

Le battaglie durano anni, decenni. Ma alla fine, quel tarlo, la vince quella guerra.
Capita.

Esplosioni

La marea nera uccide i pesci, travolge l'economia degli stati del golfo, offusca l'ottimismo del governo democratico.
Un'esplosione (un'altra?) di una piattaforme che, da sola, in una sola notte, mette in crisi l'ecosistema, l'economia e la politica di un'intera nazione. Non solo.
Perché il mondo è uno ed è di tutti, e questo l'abbiamo capito in una sola volta, dopo l'esplosione di quel grattacielo, quel maledetto 11 settembre.

Prima, sembravamo non accorgercene. Poi, il dolore e la morte, come sempre, hanno portato a livello cosciente, e non solo di pochi eletti, la consapevolezza dell'unicità dei rischi, degli svantaggi e dei limiti, di una esistenza al limite del lecito, di un destino globale che decide, per tutti, in una sola volta.

Un'esplosione naturale, che ha generato la vita sulla terra.
Un'esplosione artificiale che, con il potere dell'infinitesimamente piccolo, ha segnato la vita di infinite generazioni.
Un'esplosione innaturale di una piattaforma petrolifera, che fa danni ad un ecosistema che, altrimenti, si sarebbe mantenuto in equilibrio per secoli.

Sì, è vero, ci sono anche esplosioni fantastiche, che generano sensazioni uniche: di colori, di risate, di gioia.
Anche queste, però, esauritesi, lasciano il buio, il silenzio, il vuoto.

Equilibrio - boato - mancanza di.
Tutto qui.

Più o meno come il boato di un licenziamento, che segna l'attimo che passa tra una una vita dignitosa e una miracolosa.
Come il boato di un dolore, che separa la salute dalla malattia.

Solo che, a differenza del petrolio estratto a forza dal mare, che distrugge un oceano e tutto quello che lambisce, della fuoriuscita dell'energia vitale che segna per sempre l'esistenza di un solo individuo, si cura soltanto chi la sta vedendo scorrere via.

Eppure è come sopra.
Uno squilibrio va sempre a danno di tutti.
Non ci sono sopravvissuti, non ci sono vincitori.
Quando un pezzo del puzzle viene a mancare, il quadro non è più lo stesso.

Niente più

A TE

Tu sei quel respiro che mi toglie ancora il fiato
il solo nome che mi viene come cerco le parole...


Veloce o lenta?



Accendo la tele. La cronaca mi parla quotidianamente di morte. Morti rapide o lentissime, inaspettate o prevedibili, tranquille o violente. Abbiamo una sola esistenza e non sappiamo di certo come ci sarà tolta. Se saremo noi ad andare incontro alla morte o se sarà lei a sorprenderci, tagliando il filo che ci lega a quest'unica vita in un tempo infinitamente piccolo, tale da non farci nemmeno rendere conto del momento. Quale morte augurare ai propri cari, quale morte augurare a se stessi?
Spengo. Chiudo gli occhi.

Il pericolo reale, forse, non è quello di smettere di vivere (che in effetti non è un pericolo, è una certezza che nessuno può evitare). Quel che è pericoloso, davvero stavolta, è vivere senza rendersene conto.

Vegetare, con l'alibi di essere troppi stanchi del lavoro, troppo stressati dal traffico, troppo impegnati per ricordare cose diverse dall'essere... se stessi. Trascorrere giornate ad aspettare che finiscano, vivere il lavoro, l'amore, gli affetti, come se tutto fosse lì, immobile, per sempre. Credere di riposarsi sul divano inebetiti davanti ad uno schermo, mentre ciò che si sta facendo, realmente, è perdere tanti momenti più importanti di una vita che non ripasserà sotto ai tuoi occhi.
Perché crescendo si smette di studiare, di sognare l'amore, si dimenticano i progetti, si scordano i desideri, si accantonano i sogni, in nome di un rigore e di una compostezza strumentali solo alla nostra pigrizia, al nostro egoismo. Si eludono le responsabilità, si scambiano per doveri quelli che una volta si consideravano dei diritti e che, una volta, si consideravano dei piaceri, delle conquiste.

Non possiamo evitare di morire.
Ma io non voglio evitare di vivere.

Body scanner



Negli anni '70, era il sogno di tanti adolescenti riuscire a possedere gli occhiali a raggi X, visti sulle pagine pubblicitarie dei giornali a fumetti, che riuscivano a farti vedere il corpo delle donne sotto i vestiti. Nessuno aveva i soldi per comprarli e chi lo aveva fatto, e aveva quindi scoperto che non funzionavano affatto, si sarebbe vergognato talmente tanto ad ammettere di esserci cascato come un pollo, che se ne stava zitto, facendo sì che il mito degli occhiali si rafforzasse sempre più, perdendo forza solo grazie al tempo che passava, e portava, insieme all'età adulta, un po' di sale in zucca. Ma sono in molti quelli che hanno conservato, nel loro inconscio, la magica illusione che qualcuno, prima o poi, gliene avrebbe regalato un paio di quegli occhiali, un paio che funzionasse davvero...

L'inventore dei body-scanner di cui, presto, verranno dotati gli aeroporti, deve proprio essere uno di quelli. Come sono sicuro che sono tra quelli, molti di coloro che non vedono l'ora di utilizzarli.
Inventare un apparecchio che fornisce un'immagine 3d del tuo corpo, nudo, in grado (ma questo diventa marginale) di scovare oggetti metallici, polveri, proiettili e persino capsule di esplosivi eventualmente ingerite dall'individuo: che meraviglia!

Peccato che tra i passeggeri in volo nei cieli del mondo, si nascondano pochissime di quelle donnine di cui sognavano di vederne i contorni. Peccato che di donne bellissime, dalle curve mozzafiato, siano già pieni gli schermi televisivi, le pellicole dei film, le pagine delle riviste e, senza guardare lontano, le spiagge d'estate, così come le palestre d'inverno.

Perché qualcuno, oggi, dovrebbe aver voglia di spogliare una donna cone gli occhi? Al povero maschio di oggi, dopo avergli mostrato il visibile e l'invisibile del corpo femminile, non resta che sognare altro. E come lamentarci se, in quell'altro, ci sono corpi diversi da quelli delle donne comuni, troppo sbattuti in faccia? Corpi non comuni che, fino a qualche anno fa, ci si guardava bene dal dichiarare, figuriamoci dall'esibire.
Come un enorme schiaffone morale alle femministe di ieri, quegli individui che la natura ha dotato di attributi incerti o di ormoni in surplus, oggi si prendono la rivincita. E con orgoglio e forza insospettabile, riescono ad attrarre uomini come mosche, che gli si appiccicano sempre più, pur di non vedere sempre e solo mogli e compagne in carriera che affidano i figli a baby-sitter che parlano un'altra lingua, comprano verdure già tagliate e pulite, frequentano chirurghi estetici che regalano loro un corpo di donna ancora più perfetto. Per una donna perfetta, sotto tutti i punti di vista.
Mentre i loro uomini, nel frattempo, vanno in cerca di corpi non perfetti.
Che, ironia della sorte, sembrano anche aver un cuore che sa ascoltare...

Non vedere, non sapere



 foto da internet


Veline & calciatori, deputati & trans, magistrati & tv.

Non pensavo a queste cose quando decisi di mettere al mondo un figlio. L'entusiamo, l'amore per la vita, la voglia di essere donna e dar frutto anche alle mie potenzialità fisiche oltre che mentali erano talmente preponderanti su dubbi e timori, che non ebbi alcuna esitazione, eccezion fatta per quelle di natura medica (delle quali, sinceramente, me ne sono sbattuta altamente).
Così, mettendo a parte gli egoismi e le paure che, tuo malgrado, entrano in gioco quando inizia la partita, ho lasciato che la natura compisse il suo corso.

Oggi ascolto, ma non comprendo, le donne che hanno paura di soffrire di parto, quelle che hanno paura di vedere il proprio corpo trasformato, quelle che non vogliono passare in secondo piano agli occhi del proprio compagno (o peggio dei loro genitori), quelle che rinunciano o rimandano in nome una carriera professionale senza intoppi, quelle che, tutto sommato, pensano che alle brutte un figlio lo possono anche adottare...
Ora che sono madre, ascolto ma non comprendo, quelli che cercano di farti vedere come tutto, ma proprio tutto, non funzioni, come il sistema sia bacato al suo interno, come sia inutile e inconsistente il tuo modo di vedere e di muoverti in un mondo in cui regna l'interesse personale e la brama di potere e che ti ignora, se non sei in grado di contruibuire a far muovere gli ingranaggi.
La gioia di generare è quella di un pittore che finisce la sua tela, di uno scultore che deve dare forma alla creta, di un musicista o uno scrittore che danno senso compiuto ad un mucchio di note e di parole. Con il compito gravoso - enorme e spaventoso - di dover dare un senso a quello che hanno creato: formargli una testa per pensare e gambe forti per andare, una mente lucida per discernere e un cuore grande per capire e perdonare. Ogni madre vorrebbe riuscire a dare questo ai propri figli.

Ma il lavoro manca. E decenni di studi non bastano a garantirtelo, mentre le veline ballano solo per un lustro e poi si godono ripetute vacanze ai tropici pagate da un assegno di mantenimento dell'ex coniuge asso del pallone. Questo non si può spiegare ad un figlio.

Nel terzo millennio, incredibile a dirsi, non c'è educazione che ti garantisca rispetto, non c'è morale che ti assicuri onestà. Regole, principi, leggi: perché applicarle o peggio insegnarle?
La risposta, tutto sommato, è semplice. L'unica cosa che può salvarci è una testa che funzioni. Può salvarci? E in quanto tempo? Ma che ne so... Di certo so che la capacità di giudizio è l'unica cosa che una madre dovrebbe aver cura di insegnare ai propri figli.
Essere in grado di pensare con la propria testa. Già.
Ecco perchè i valori etici e morali andrebbero comunque inculcati (sì, volevo proprio usare questo termine), non tralasciando il piccolo particolare di crederci e di dare pure il buon esempio, ovviamente. Vedere per capire, ascoltare per imparare, pensare per distinguere. Scegliere per vivere.

Se solo si avesse il coraggio di scegliere per vivere, e non per sopravvivere.

Incipit

Ogni gesto è frutto di un pensiero, ogni azione di un impulso.
Viviamo vite che nascono da flash della mente. Condite da giustificazioni mentali.

Notte di note


La strada non è mai illuminata come dovrebbe, ma qualcuno ha il privilegio di darle una sbirciatina in anticipo.
La mia indossava una giacca canna da zucchero e non avrei mai pensato che l'avrei percorsa per tutta la vita.
Senza mai prendere fiato.
Perché non importa se il video è pessimo
Perché da quella sera niente è stato più lo stesso
Perché dalle sue note ho capito cosa non avrei mai più cercato
Perché in quella notte ho sentito dentro di me il suono di chi volevo

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