Coldplay - Christmas Lights

Grazie a chi me l'ha segnalato... così il Natale è più bello!
Ti voglio bene!

La squadra

Domani voglio formare una squadra di calcio. Io sono l'allenatore e il presidente, sono anche quello che intasca gli incassi. Chi chiamo a far parte della mia squadra? I miei amici, o chi gioca bene a pallone? Certo, ci fosse qualcuno, tra i miei amici, che gioca anche bene a pallone... Ma è molto probabile che i giocatori più bravi sul mercato non siano gli stessi uomini con cui preferisco uscire o andare a cena fuori.

Domani voglio fare una trasmissione televisiva. Probabilmente devo qualcosa alla rete che ospita il mio programma, ma se la rete vuole me, probabilmente accetta le mie proposte. E i miei collaboratori. Ma io devo fare e ho tutto l'interesse a fare una trasmissione che funziona. Vorrei il regista più bravo, lo scenografo più spettacolare, un costumista di classe, dei coautori che sappiano scrivere. Eppure di amici che sanno scrivere ne ho... Tra questi, però, non ci sono solo romanisti come me. Di bravi ce ne sono, e sono della Roma, della Lazio, della Juve, dell'Inter, del Napoli... E per fare una bella trasmissione, va bene anche essere di destra e di sinistra, o un po' di destra e un po' di sinistra, di centro o di niente. Tanto, ognuno dovrebbe SOLO fare bene il suo mestiere. Per bene, insieme, per un fine comune. Senza che nessuno cambi necessariamente idea.

Domani farò qualcosa di buono. Perché vorrò e saprò farla. E spero di essere accompagnata da chi è capace di farlo.

"Settebello" (1960)

I cileni conoscono Alfredino?

Stanno uscendo. Uno alla volta, i minatori cileni intrappolati nelle viscere della terra da oltre due mesi, con la calma indispensabile ad operazioni del genere. Mentre scrivo sono a quota 9 e, ora dopo ora, aspetto che il conto arrivi a 33, cifra fatidica che ha scatenato i patiti di numerologia (uguale alla somma delle cifre della data del salvataggio 13-10-10) e che rievoca pensieri biblici, alimentati dalle dichiarazioni del secondo dei minatori a rivedere la luce del sole, Mario Sepulveda: "Sono stato reclamato da Dio e dal diavolo, hanno combattuto e alla fine Dio mi ha vinto".  

Ma noi italiani, questa passione l'abbiamo già vissuta. Quasi trent'anni fa. Nessuno di quelli che, increduli, hanno assistito in diretta all'agonia di Alfredo Rampi, riusciva a immaginare quello che sarebbe avvenuto. La sua voce era lì, solo ottanta metri più in basso, in quel pozzo maledetto. E poi il silenzio. Non riuscivamo a spegnere la televisione. Non potevamo accettare una fine così.

Ventinove anni dopo riviviamo quell'incubo, e ad ogni minatore che risale in superficie risale anche un pezzetto del sorriso di Alfredino, lui che non ce l'ha fatta e che certo starà assistendo a questo salvataggio, guidando i passi e le mani di chi lavora per fare il miracolo.

Tirare fuori. Dal profondo.
Necessita di tanto tempo, è faticoso, fa male.
Occorre pazienza, volontà, aiuto.
Ma quando qualcosa comincia ad uscire, il processo è inarrestabile.
E tu non sei più quello di prima. O forse torni ad esserlo.
Un giornalista. Diventarlo non era nei miei piani, esserlo però mi ha sempre dato gioia ed orgoglio. Quasi sempre. Ma non in sere come questa.

Lavorare sulle notizie, essere pagati per parlare di quello che succede nel mondo, non è gloria, non è forza, non è superiorità. E' lavoro. Un lavoro che è soprattutto un dovere. Un dovere che ha, o dovrebbe avere, chiunque ha il potere di far vedere ad altri, con i propri occhi, la realtà che ci circonda. Così come la cronaca, specie quella nera, non è spettacolo. Non è quello show ignobile a cui assisto ogni giorno.

Questo lavoro, invece, diventa spesso un vantaggio per fare una buona carriera, una spinta per guadagnare più soldi e un contratto privilegiato, un mezzo per ottenere ancora più potere di quanto già se ne abbia. Che, se ottenuto così, inevitabilmente sarà un potere malato, in grado di fare male, ancora di più e sempre di più.
Che carriera. A quale prezzo e con quale cuore è possibile farla.

Stasera quella disgustosa macchina mediatica che è oggi la televisione mi fa orrore. Mi fa schifo la tv della dolore, e mi fa schifo l'enorme quantità di persone asservite alla legge dei numeri, a servizio della conquista dello share. Colleghi che si sentono costretti a fare scalpore, per scongiurare il rischio di fare la valigia in caso di inadempimento (tanto di chi è disposto a farlo c'è una lunga fila), persone che che per giustificare le proprie colpe si nascondono dietro ai doveri di una presunta televisione di servizio. Che però - ma guarda un po'! - è sempre sotto la legge del dio share. Che potrebbe anche essere l'unico obiettivo di un'azienda, ma non può essere "l'obiettivo". A scapito della dignità dell'uomo.

Si può perdonare, perché non sanno quello che fanno?
No. Perché lo sanno.
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